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“Luigi Proietti detto Gigi”, il viaggio di Edoardo Leo nella vita del grande attore

Edoardo Leo racconta la genesi del docufilm “Luigi Proietti detto Gigi”.  Prodotto da Italian International Film e Alea Film con Rai Cinema, sarà distribuito nelle sale dal 3 marzo da Nexo Digital

“Luigi Proietti detto Gigi”: la storia di un comico nato il giorno dei morti che costruisce un teatro popolare nel cuore di una villa Borghese. Un viaggio per cercare di capire il segreto di un attore unico, scoprendo poi che l’unico segreto era essere Gigi Proietti. Una piccola parte della vita di Gigi Proietti vista con gli occhi di Edoardo Leo. Gli occhi colmi di stupore di un Edoardo che a dieci anni lo vede recitare per la prima volta e dice “voglio fare quello lì”.

In “Luigi Proietti detto Gigi” c’è il cuore di un ragazzo che torna a casa e dice al padre, contrario alla sua carriera di attore, “mi hanno preso in una fiction con Gigi Proietti”. C’è quella timidezza, che era anche di Proietti, che li accomuna e li rende entrambi increduli del loro successo. C’è la voglia di raccontare un maestro con ammirazione e gratitudine senza farne un santino.

Edoardo Leo racconta il “suo” Gigi Proietti

«Glielo avevo promesso», racconta Edoardo Leo In una piccola sala della Casa del Cinema di Roma. Un maestro immenso che tutti chiamavano semplicemente Gigi, ma “del quale non riuscivi a sentirti un collega”. C’è la delicatezza nel rispettare il riserbo sulle cicatrici profonde lasciate dai tradimenti di quella politica, di quelle amministrazioni comunali, di quei “colleghi” che lo hanno sfruttato. C’è la semplicità e l’umiltà di un attore che ammette «io e Gigi non eravamo amici», soprattutto in una città come Roma dove ti basta un selfie al ristorante  per dire “semo amici da ‘na vita”. E poi c’è l’anima di un pezzo di storia del teatro italiano che è stato ricordato da tutti come “il protagonista di Febbre da cavallo”. Infine c’è la semplicità di un uomo che, mentre lavoravano insieme a questo progetto, pensava: «ma sto veramente dentro lo studio di Proietti a parlare con lui?» 

Edoardo Leo racconta "Luigi Proietti detto Gigi"
Photo Credits: Andrea Miconi©

Ricorda Edoardo Leo: «Gigi diceva: “siamo nell’epoca dei superlativi. Non basta più dire bravo ad una persona, bisogna dirgli straordinario, mostro, genio assoluto. Quando ho finito la prima replica di “A me gli occhi, please” ero subissato di complimenti e ho chiesto a mia madre: A ma’, ma t’è piaciuto? E lei mi ha risposto: abbastanza”. Gigi non si è mai messo su un piedistallo e questo gli ha consentito di raccontare come siamo, come eravamo, stando dentro la città, dentro le persone. Ha ridato senso al termine “popolare“».

«Aveva un rimpianto», prosegue Edoardo Leo parlando di Gigi Proietti, «che a un certo punto la sua figura di comico aveva preso il sopravvento. Parte della critica lo ha sottovalutato. Quando si parlava di direttori di teatri, come il teatro di Roma, poche volte veniva in mente la figura di Proietti, un grande autore, un grande intellettuale, un grande studioso. E quando ha avuto la possibilità di aprire un teatro, ha deciso di fare il Globe Theatre, un teatro dove si può fare solo Shakespeare. I suoi spettacoli, tranne il Kean, erano esclusi. La grandezza e la modestia di quest’uomo è nei fatti. 

Alessandro Gassman dice: è Gigi che è mancato al cinema e non il cinema a Gigi. Gigi è ricordato per pochi film e quelli che ha fatto sono dei cult. Casotto, Febbre da cavallo, Un matrimonio con Altman. Moltissimi film andrebbero riscoperti. Come quelli, complessi, con Tinto Brass. Film di sperimentazione. 

Nel documentario Gigi dice: “non ho la tempra del divo”. È incredibile. Quando ci si approccia ad artisti del suo calibro, spesso gli si dà del lei, si chiamano maestro. Gigi lo chiamavano tutti Gigi, anche se lo incontravi per la prima volta. Questo è il motivo per cui nel documentario l’ho chiamato Luigi detto Gigi. Anche le maestranze, i macchinisti, lo consideravano uno di loro. Nonostante fosse un artista, un intellettuale, un profondo conoscitore della cultura teatrale. Quando Gigi ha preso il teatro Brancaccio, era uno spazio vuoto: nel cuore di Roma c’era un teatro da 1400 posti abbandonato.

Lui lo ha fatto rinascere e lo ha ridato ai romani. Per ben due volte. Io ero in scena con lui quando è accaduto. Il teatro ha riaperto all’improvviso a febbraio. Arrivavano i pullman dalle periferie. Averglielo tolto è stata una ferita enorme per Gigi, ma non una ferita personale. Gli dispiaceva che i romani non potessero avere un teatro dove vedere spettacoli colti e popolari allo stesso tempo. Quando gli ho chiesto del Brancaccio, ha preferito non rispondere. Ho pensato fosse giusto rispettare questo suo desiderio di non pensare più a questa storia». 

Edoardo Leo racconta "Luigi Proietti detto Gigi"
Photo Credits: Anna Camerlingo©

«Nel film Gigi dice che la recitazione non si insegna ma si impara»

«L’unica cosa che un attore può fare è cercare di prendere dagli altri e lavorare su se stesso. Il talento non si può infondere. “Non pensavo di insegnare niente, cercavo di spiegare l’etica del lavoro”. L’etica del rispetto del pubblico è quello che ho imparato da Gigi Proietti», continua Edoardo Leo.

«Quando Gigi chiede a una signora: “lei pensa che Shakespeare sia popolare?” e lei risponde. “Beh, no” lui le risponde: “arrivederci”. Non c’è niente di più popolare di Shakespeare. Quello che lui ha fatto per tutta la vita è stato cercare di ridare dignità a questo concetto. Con questo spirito nasce il Globe Theatre. Il pubblico del Globe è un pubblico di ragazzi e lui ha cercato di usare la sua popolarità per portare un pubblico popolare a rivedere qualcosa che gli appartiene profondamente. Non è un teatro d’élite». 

Edoardo Leo racconta "Luigi Proietti detto Gigi"
Photo Credits: Anna Camerlingo©

Edoardo Leo: Non ho voluto riabilitare Gigi Proietti, non ce n’era bisogno. 

«Ho iniziato questo progetto insieme a Gigi Proietti per raccontare “A me gli occhi please”», spiega ancora Edoardo Leo. «Ho cominciato con lui, perché non avevo la pretesa di raccontare tutta la sua vita: era impossibile. Volevo parlare solo di questo spettacolo perché dentro “A me gli occhi, please” c’era tutto il Proietti meno conosciuto. Tutto quello che Gigi ha fatto nel teatro di sperimentazione, di ricerca, nel teatro d’avanguardia, con Carmelo Bene, con Teatro 101 di Calenda. Gigi è riuscito a declinare tutte queste esperienze dentro uno spettacolo molto più complesso di quello che appare.

In quel teatro tenda a piazza Mancini venivano con i pullman dalle periferie per vedere qualche cosa di mai fatto prima sulla scena teatrale italiana. Gigi ha contaminato i generi: dentro “A me gli occhi, please”  la comicità e la poesia stavano allo stesso livello. Il mio intento non era riabilitare Gigi, perché non serve che lo faccia io, ma raccontare che dietro quella maschera comica c’era un profondo studioso, un profondo conoscitore dei fatti teatrali di questo Paese. Volevo restituire un’immagine molto più complessa di quella dell’attore che ha fatto, meravigliosamente, “Febbre da cavallo”». 

Edoardo Leo racconta "Luigi Proietti detto Gigi"
Photo Credits: Anna Camerlingo©

Gigi è stato il primo doppiatore di Stallone. Il famoso “Adriana” è suo.

«Nel docufilm racconto un aspetto che pochi sanno: che in Rocky 1 Stallone è stato doppiato da Proietti. Gli altri da Amendola. Avrei voluto mettere delle immagini del primo “Adriana” di Rocky, ma la produzione americana non ce l’ha concesso: è stato un rimpianto. Non abbiamo inserito alcune regie di opere liriche che Gigi ha fatto a Caracalla: è stato un altro rimpianto. Spero, un giorno, di poter fare una Extended Version e metterci dentro tutto». 

Proietti e il rapporto con la televisione

«Mi sono stupito di quello che si faceva in televisione negli anni ’50 e ’60. Il Don Chisciotte fatto con dei ragazzini è un’impresa unica. Recitava in diretta con i bambini presenti che potevano interrompere la trasmissione per fare domande. Ha portato la sperimentazione in televisione. Incredibile! Ho raccontato anche delle sue cadute. Fantastico fu considerato il più brutto mai fatto, nonostante fosse seguito da milioni di spettatori. È uscito con le ossa rotte da quell’esperienza. I tempi televisivi gli sembravano impossibili. Cavalli di battaglia è stato invece un successo incredibile, perché i tempi erano i suoi e non quelli della televisione. Anche gli sceneggiati televisivi che ha fatto sono entrati nell’immaginario collettivo». 

Edoardo Leo racconta "Luigi Proietti detto Gigi"
Photo Credits: Anna Camerlingo©

I titoli di coda: Edoardo Leo insegue in motorino un autobus dove campeggia la foto a braccia aperte di Gigi Proietti nel suo ultimo saluto

«Non c’era niente di programmato: ero in Vespa e stavo andando in ufficio. Due giorni dopo i funerali. Pioveva. Mi sono trovato davanti questo autobus e non so perché ho deciso di prendere il telefono e di seguirlo. Era un modo per non farlo andare via. Ho tenuto questo filmato e non l’avevo fatto vedere a nessuno. Quando cercavamo un modo per fare i titoli di coda, anche se sono molto restio a mettere le mie cose personali, ho deciso di lasciare  qualcosa di mio: il mio saluto a Luigi Proietti detto Gigi. Vorrei che gli piacesse “abbastanza”».

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