Immagini di repertorio chiudono “Ero in guerra ma non lo sapevo” prodotto da Eliseo Entertainment e RAI Cinema, in sala il 24-25-26 gennaio. Sono le riprese dei funerali di Pierluigi Torregiani
“Ero in guerra ma non lo sapevo” è il racconto degli ultimi giorni di vita di Pierluigi Torregiani, titolare di una gioielleria a Milano, ucciso il 16 febbraio 1979 dai Proletari Armati per il Comunismo. È la storia del commerciante e della sua famiglia che, dopo aver reagito ad un tentativo di rapina, si ritrova addosso l’etichetta di “sceriffo” e viene condannato a morte dal gruppo terroristico.
Con Francesco Montanari e Laura Chiatti, il film di Fabio Resinaro è prodotto da Luca Barbareschi e ispirato al Libro “Ero In Guerra Ma Non Lo Sapevo” di Alberto Dabrazzi Torregiani e Stefano Rabozzi. Un film che merita la sala, e che 01 Distribution farà uscire per pochi giorni ma con duecento copie.
“Ero in guerra ma non lo sapevo”, la sinossi del film
Milano, fine anni ‘70. Pierluigi Torregiani, un gioielliere che si è fatto da sé, subisce un tentativo di rapina in cui muore un giovane bandito. Non è stato lui a sparare, ma molti giornali lo accusano di essere un giustiziere borghese. La tensione politica dell’epoca lo rende un obiettivo perfetto per i PAC, gruppo di terroristi guidato da Cesare Battisti, che individuano in lui un colpevole da punire.
Torregiani e la sua famiglia ricevono minacce di morte: il pericolo è così concreto che gli viene assegnata una scorta. Ma le intimidazioni non si fermano: sempre più invasive, lo condizionano nel lavoro e soprattutto nei rapporti con i famigliari, che si consumano fino a sfiorare la rottura.
“Ero in guerra ma non lo sapevo “racconta un uomo che, sotto attacco suo malgrado, vive una profonda crisi famigliare che si “ricompone” solo dopo la sua morte, avvenuta per mano di sedicenti rivoluzionari.
“Il fango fa sentire sporco chi ha coraggio, ma ha anche la proprietà di tenere al caldo chi ha paura”. In questa frase del film, uno dei temi che sottende la trama di “Ero in guerra ma non lo sapevo”.
Con “Ero in guerra ma non lo sapevo”, Fabio Resinaro ci catapulta, grazie anche alla fotografia di Paolo Bellan, in una pellicola anni Settanta. Scegliendo un approccio realistico, ci trasporta in un universo domestico, quello della famiglia Torregiani. Partendo da un fatto di cronaca, da una storia già ampiamente indagata, utilizza un linguaggio diretto per tentare di dare un punto di vista nuovo a un episodio degli anni di piombo che molti ormai ricordano solo come uno degli omicidi per cui è in carcere Cesare Battisti.
“Ero in guerra ma non lo sapevo” è la storia di un uomo vittima fisica dell’attentato dei PAC e vittima morale di quella stampa che non ha bisogno di tribunali perché ha già i suoi colpevoli. La storia di un cittadino negli anni bui del terrorismo che “Aspetta il bandito”, secondo il titolo di un quotidiano dell’epoca: che aspetterebbe il terrorista venuto a rapinare un ristorante con volto coperto e a mano armata. La storia di un gioielliere, un borghese, un capro espiatorio sacrificabile in un’Italia dove la politica era (è?) più importante del dovere di cronaca. È la storia di un uomo che pensava che la vita fosse come gli ingranaggi degli orologi che riparava, scoprendo poi, sulla sua pelle, di come anche lui fosse solo un piccolo ingranaggio di un sistema molto più grande di lui. La storia di un cittadino che si scopre impotente.
Fabio Resinaro, regista del film
È la vicenda di un uomo che tiene alla sua libertà e che si trova coinvolto, suo malgrado, nella Storia. Un uomo messo in un lockdown forzato, obbligato a vivere sotto scorta, che diventa un meccanismo di un ingranaggio più grande di lui. È la storia di una narrazione invadente portata avanti da una stampa che usa le persone per sostenere tesi precostituite. Ma sono esseri umani. È un film politico nella misura in cui si smarca dalle classiche posizioni già viste.
Il mio Torregiani è un uomo che si carica di responsabilità volontariamente: padre, marito, lavoratore, imprenditore, punto di riferimento della sua comunità di commercianti. Per lui rinunciare vuol dire rinunciare alla sua identità. Questo è il personaggio che abbiamo deciso di creare.
Francesco Montanari: Non è un docufilm, ma un film ispirato ad una storia vera
Il Torregiani che abbiamo reso sullo schermo può apparire un personaggio respingente, ma solo perché è un uomo che si è fatto da solo, che viene immerso in una dinamica di prepotenza e di arroganza più forte di lui, contro il suo volere. Non accetta una situazione che, all’inizio, pensa essere gestibile. Raccontiamo di un uomo pragmatico, abituato ad aggiustare orologi. Non accetta che la sua vita cambi per l’imposizione di terzi. Non capisce come mai il meccanismo non sia riparabile. La stessa moglie gli dice: stai mettendo a repentaglio la nostra vita.
All’inizio risulta antipatico proprio perché si rifiuta di subire. È un uomo che si chiede: perché sta succedendo a me? Sono una brava persona, un lavoratore. È questa la forza di “Ero in guerra ma non lo sapevo”. Non è un docufilm, ma un film ispirato a una storia italiana. Non mi sono ispirato al vero Torregiani. Ho solo seguito la sceneggiatura.
Risulta arrogante perché è un uomo abituato a fare tutto da solo. Ostentare sicurezza può sembrare arroganza, ma quando sei messo alle strette, l’unico modo per far vedere che hai il controllo è sminuire le difficoltà. Un uomo che trova ingiusto quello che gli accade. A livello di principio, lo condivido. Non vuole apparire debole. Affronta la stampa per un titolo che lo fa sentire tradito, cerca di dire “non vivo attendendo il bandito. Lavoro, produco”. Non vedo arroganza, semmai vedo l’arroganza della stampa, la sua invadenza. Il mio Torregiani rappresenta la borghesia dei commercianti, un uomo per cui sei ciò che fai.
Luca Barbareschi: A me piacciono le sfide, e questo film lo è stata
“Ero in guerra ma non lo sapevo” è un film che avrei voluto realizzare sei anni fa, ma non trovavo uno sceneggiatore. Spesso mi sono sentito dire: tra un terrorista e un borghese di merda, sarò sempre dalla parte del terrorista. Questo mi feriva. Credo sia importante elaborare i drammi che il nostro Paese ha affrontato.
Ringrazio gli sceneggiatori Mauro Caporiccio e Carlo Mazzotta. Mi hanno dato la possibilità di raccontare un pezzo di storia italiana. Questo è un Paese fondato sul capro espiatorio. Nessuno si chiede mai “dove sbaglio?”. Io non ho mai potuto sopportare che la stampa linciasse una vittima perché la battaglia politica era più importante della vita di un borghese.
Fare il gioielliere è un lavoro. È impressionante cosa scrivevano contro Torregiani. A me piacciono le sfide e questo film lo è stata. Non era un film facile.
È un film parla di noi. Oggi sarebbe importante rendere noti i dati su Ustica, sulle bombe ai treni. C’è una parte dell’editoria che ha flirtato con i finti uomini di sinistra. Mi ha colpito una frase di Battisti: “Non sono mai stato vittima di ingiustizia e ho preso in giro tutti quelli che mi hanno aiutato. Ad alcuni di loro non c’è neanche stato bisogno di mentire”.
Alberto Dabrazzi Torregiani: Mio padre, un uomo che combatteva cercando di nascondere le sue paure
Questo film non chiude la storia, ma dà valore alle battaglie che ho combattuto in questi anni. Non volevo che mio padre venisse raccontato come un perbenista che era nel giusto o una vittima sacrificale. Era una persona forte, caparbio, capace di andare contro le difficoltà in anni in cui i successi dei borghesi non erano ben visti. Un uomo che è partito con un negozietto, che ha adottato tre figli, che voleva costruire qualcosa da lasciare loro in futuro. Un padre che cercava di nascondere le sue paure. Questo volevamo trasmettere con “Ero in guerra ma non lo sapevo”. Ricordo i silenzi, le notti in bianco, il fastidio della scorta. La sua vita scaraventata in un incubo più grande che ha avuto fine solo con l’attentato.