“America Latina” arriva il 13 gennaio in sala dopo essere stato presentato in concorso alla 78ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Con Elio Germano, Astrid Casali, Sara Ciocca, Maurizio Lastrico, Carlotta Gamba, Federica Pala, Filippo Dini e con la partecipazione di Massimo Wertmüller è prodotto da Fremantle e Vision Distribution, in collaborazione con Sky.
Cavallo vincente non si cambia, e in “America Latina” i fratelli D’Innocenzo ripropongono la squadra premiata a Berlino con l’Orso d’argento affidando il ruolo di protagonista a Elio Germano.
Massimo (Elio Germano) è un dentista di Latina, felicemente sposato e con due figlie. Un giorno scende in cantina per una lampadina da cambiare e trova una ragazza legata e imbavagliata che chiede aiuto.
Cosa fa? Prende il cellulare e urla alla ragazza legata a un tubo: “Aspetta, chiamo aiuto”. Lo avremmo fatto tutti. Ma lui ci ripensa e dà il via a un thriller psicologico.
“America Latina”, la recensione del nuovo film dei Fratelli D’Innocenzo
Molti artisti, dalla letteratura al cinema, hanno condiviso con il loro pubblico la loro angoscia e le loro ossessioni, spesso aiutandoci a conoscerci meglio grazie allo specchio che ci offrivano. Un maestro di questo filone nel cinema, uno per tutti, è Alfred Hitchcock. E se il film in uscita dei fratelli D’Innocenzo fosse “America Latina: quando lo stile Hitchcock non ha niente da dire”?
Nel terzo film dei fratelli D’Innocenzo Elio Germano è protagonista assoluto, visto che le altre figure del cast restano sullo sfondo, prive di una vera caratterizzazione. Sia Simone (Maurizio Lastrico), l’amico di bevute, che le donne della sua famiglia e la stessa vittima (Astrid Casali, Sara Ciocca, Carlotta Gamba e Federica Pala), esistono nella misura in cui si relazionano con lui.
“America Latina” è un viaggio ipnotico nella mente instabile di Massimo. È un film che forse vuole far ritrovare lo spettatore immerso nelle sue come nelle proprie paure; forse vuole portarci a contatto con l’ansia che stringe alla gola una popolazione inadeguata ad affrontare la pandemia in atto. E la paura, l’ansia, è ciò che consente a un thriller di trattenere lo spettatore attaccato alla poltrona, allo schermo, alla storia. Ma per ottenere il risultato, il regista deve avere il controllo di ogni singolo fotogramma della pellicola, di ogni suono, di ogni frase. In “America Latina” Elio Germano prende il sopravvento dell’inquadratura, il creatore perde il controllo sulla sua creatura e lo spettatore smarrisce i sassolini che dovrebbero tracciargli la strada nel folto bosco dei cambi di scena.
La descrizione di stati d’animo come sospetto, gelosia, paura, ossessioni, paranoie, può essere lasciata alle immagini, in questo caso ben costruite da Paolo Carnera . La trama può essere surreale, il luogo può essere surreale. Ma il messaggio deve arrivare allo spettatore. Altrimenti è solo forma.
Massimo è l’uomo spezzato, frammentato, frantumato che sta emergendo sotto il sottile velo del machismo che lo ha celato per anni ai nostri occhi. Le figure femminili sono le vittime che sempre più raccontiamo. La famiglia sullo schermo è una di quelle che non vorresti esistessero, ma di cui urge raccontare.
“America Latina” è, nel disegno degli autori, un viaggio nella mente umana. Un progetto impegnativo. Forse tre film in quattro anni sono un impegno eccessivo. Anche per due validi registi come Fabio e Damiano D’Innocenzo.