Il 25 novembre, in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle Donne alle ore 21.00 su RAI 5 va in onda “Doppio Taglio”, di e con Marina Senesi, per la regia di Daniela Vismara e con le musiche originali di Tanita Tikaram
25 novembre 2021: un’altra “Giornata Internazionale contro la violenza sulle Donne”. Un’arma a “Doppio Taglio”: così sono spesso le informazioni che i media diffondono parlando di violenza sulle donne. E proprio da qui nasce lo spettacolo di e con Marina Senesi. Fin dall’antica Grecia, miti e tragedie sono alla base della cultura dello stupro. La “rape culture”, termine anglosassone che suona più politicamente corretto, non è altro che la diffusione o l’accettazione di un modello educativo che esalta l’aggressività sessuale maschile.
Con buona pace di tutti noi che rimaniamo estasiati davanti alla bellezza del ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini. O che abbiamo passato ore, ai tempi del liceo, a tradurre versioni che parlavano di…stupri. Ovviamente utilizzando verbi ampollosi che trasformassero un atto sacrilego in un atto sacro.
“Doppio Taglio”, di e con Marina Senesi
Ma che importa? In fondo sono solo parole. Parole come quelle che usano ancora oggi i media per raccontare le stesse violenze che le donne subiscono da sempre. Nonostante la riforma del diritto di famiglia nel 1975 e l’abolizione della legge sul matrimonio riparatore e di quella sul delitto d’onore nel 1981. Perché fino al 1981, in Italia, la legge sul matrimonio riparatore regalava la donna abusata al suo stupratore per essere violentata a vita. Sì, ma senza più disonorare la famiglia.
In fondo, poi, la vecchia distinzione che apriva i nostri libri di istituzioni di diritto privato sulla differenza tra leggi, usi e costumi, ha mai spiegato quanto tempo occorresse per sostituire un uso millenario con una legge appena varata? No. E infatti, nel 2021, siamo ancora qui a contare le donne uccise dagli uomini. Ma mica per cattiveria…giammai! Per un raptus. “Uccisa da un raptus”. Termine spersonalizzante che addossa la responsabilità a un tizio: il curioso caso del signor raptus. Poi ci sono le domande argute, come quella della giornalista Palombelli: “e se l’omicidio fosse causato dal comportamento esasperante della donna?”. Uccisa perché esasperante. Ecco un buon titolo per il prossimo femminicidio.
La cultura dello stupro passa anche attraverso l’informazione. Da qui nasce lo spettacolo “Doppio Taglio” di e con Marina Senesi, attrice, autrice teatrale e radiofonica, con il contributo delle immagini che scorrono e con le voci fuori campo di Filippo Solibello e Marco Ardemagni, inconfondibili conduttori del programma mattutino cult Caterpillar AM (Radio2RAI), programma in cui Marina ha lavorato a lungo. È con lei che parliamo del suo spettacolo, che approda in televisione dopo alcuni anni in teatro.
Come nasce “Doppio Taglio”?
Marina Senesi: Ad un convegno conosco Cristina Gamberi, ricercatrice di studi di genere. Esponeva un lavoro interessantissimo, ma destinato a fruitori già consapevoli. Le ho chiesto di poterlo tradurre in un linguaggio diverso, in modo da rendere i suoi studi adatti a un pubblico trasversale. Abbiamo lavorato sulla semplificazione del linguaggio per arrivare a tutti. Classi di liceali, che forse non avrebbero ascoltato un’ora di conferenza, sono stati rapiti dal monologo.
Letteratura, teatro, stampa, oggi anche la televisione. Perché siamo ancora qui a parlare dello stesso argomento?
Marina Senesi: Non se ne parla, si racconta. In scena non portiamo testimonianze di vittime o carnefici. Doppio Taglio è un docu-racconto attraverso il quale indaghiamo i meccanismi comunicativi utilizzati dalla stampa per raccontare il femminicidio. E lo fa attraverso gli stessi schemi narrativi vecchi di secoli.
Doppio Taglio è la storia di come noi lettori, senza accorgercene, aderiamo a uno schema narrativo antico, che ci viene proposto dai giornalisti in chiave moderna. Ma lo schema resta lo stesso. Se tu apri il giornale e leggi “violentata ma aveva la minigonna”, non serve una ricerca accademica per capire che l’articolo è scritto male. Non stiamo raccontando questo. Noi portiamo alla luce dettagli sottotraccia, particolari dei quali neanche ci si accorge. Pensa solo alle foto che corredano gli articoli. Sono soggettive dell’aggressore. Questo fa si che il lettore si ponga dal punto di vista dell’aggressore. La sua predisposizione mentale è quella dal lato dell’aggressore, mutuata dalla voce del giornalista.
Quello che temo, nel modo di raccontare i femminicidi, è il sottotraccia: quello che cerchiamo di portare a galla con questo spettacolo.
C’è differenza tra i media?
Marina Senesi: No. C’è sicuramente più attenzione nel raccontare. Ad eccezione di testate come Libero o Il Giornale, che usano la provocazione per far parlare dei loro articoli.
Il problema è come viene raccontata la violenza. Foto di donne isolate, in soggettiva, dove l’aggressore non è mai presente. Una donna che si vede rappresentata in quel modo, con i segni di una sessualità subita, umiliata e ripresa in una situazione umiliante, non è incentivata a denunciare. Il lettore, poi, è interessato a una storia morbosa e questo viene offerto dai media. Anche se sono finzioni fotografiche, l’iconografia protegge la privacy dell’aggressore e mette davanti all’obiettivo la vittima. Dell’uomo appaiono dettagli: una mano, un pezzo di pantalone, un’ombra riflessa sul muro. Questo modo di rappresentare, di raccontare la storia dal lato dell’aggressore, fa apparire legittime domande che non lo sono affatto, come “perché lui ha fatto questo?”, “Cosa ha scatenato la sua rabbia?”.
C’è l’idea che bisogna capire il motivo per cui lui l’ha fatto. Quando assistiamo a una violenza, scopriamo che quella donna era vittima di violenze da anni. Siamo in un momento critico, durante il quale stiamo ancora lottando, e in cui ci deve essere lo stigma sociale da parte di tutti nei confronti dell’aggressore.
Ci sono, purtroppo, tantissime donne appiattite sul punto di vista maschile. Donne che dichiarano di non essere femministe per paura del giudizio. Gli uomini sono abituati a fare squadra tra loro, senza sentirsi in colpa. Per loro fare rete, anche lavorativamente, è normale.
Abbiamo la parità dei diritti, le quote rosa, la parità salariale. Ma dal 1975 ad oggi noi donne non siamo riuscite a fare di meglio? Dove siamo state? Dove siamo? A chiederci, forse, se non abbiamo esasperato il nostro assassino? A urlare che siamo “madri, mogli, bianche e cattoliche”? O a dire, come molti uomini gretti, “se l’è cercata”?
Marina Senesi: Dal 1975 ad oggi non esiste neanche più la figura del capo famiglia, ma la maggior parte delle persone non lo sa e questo termine viene ancora usato nelle trasmissioni. I ragazzi forse non lo usano più, ma le ragazze si scontreranno con questa problematica nel mondo del lavoro. Ho lavorato anni in Rai, a Caterpillar ad esempio, e nonostante la presenza di donne, il potere, parlo di SIAE, era gestito da maschi. I compensi erano diversi e le donne non facevano rete. Una volta, durante Catersport, sollevai il problema della differenza dei premi nei tornei di tennis tra uomini e donne, e fui ridicolizzata. Da quegli stessi uomini che poi salivano sui palchi a dichiarare la loro solidarietà alle donne. C’è una differenza profonda tra quello che diciamo con le parole e i messaggi che lasciamo passare sotto le parole. Nella domanda hai citato la Meloni, e io sono d’accordo, ma anche a sinistra non è mai stato fatto nulla. Negli anni Sessanta e Settanta le donne erano chiamate gli angeli del ciclostile. Il problema c’è sia a destra che a sinistra ed è peggiore dove è nascosto.
Cenerentola si veste bene per attirare un uomo ricco. La Sirenetta che si priva della voce, si rende muta per avere il suo principe. Quanto la cultura dello stupro passa ancora oggi per l’educazione?
Marina Senesi: Roma è stata fondata sullo stupro. Il ratto delle sabine è la versione edulcorata di uno stupro etnico. Anche in Shrek 3, tutte le principesse Disney vanno in soccorso della principessa Fiona per liberare il trono dall’usurpatore. Solo che poi il trono va a Shrek, che non è nessuno, mentre la legittime erede, Fiona, si ritrova a fare la principessa consorte. Ma ci concentriamo solo sulle principesse che fanno squadra. Questi sono tutti messaggi sotto taccia che continuiamo a mandare. Il machismo è ancora oggi imperante. Se ci pensi, le donne sono le prime a usare l’autodeterminazione sessuale di una donna come insulto verso la stessa. Sono le prime a dare della prostituta a un’altra donna. Come se il valore di una donna fosse determinato dalla sua sessualità.
Che realtà hai trovato quando hai portato Doppio Taglio nelle scuole?
Marina Senesi: Ho trovato ragazzi aperti e sensibili al problema. In una scuola, dopo uno spettacolo di mattina, un ragazzo mi ha detto “stasera porterò mia madre”. Sono venuti entrambi. Nel modo in cui mi ha parlato, ho capito che voleva aiutare sua madre.
Un problema che noto è che spesso i ragazzi sono abituati a ragazze che dicono loro che così va bene. Spesso si sorprendono che le donne non abbiano di natura la tendenza ad aspettarli a casa. Per secoli è stato raccontato loro questo. Per secoli le donne si sono salvate la vita cercando di essere utili in famiglia. Da studi recenti, sembra che il senso materno sia culturale non naturale. L’unico modo per non essere ammazzate era la maternità. I ricchi mandavano i figli a balia o in collegio per essere educati. Tenere i figli addosso è un retaggio popolare che tutelava le donne dei ceti poveri per salvarsi. Molte donne sono ancora convinte che sia giusto così.
E se facessimo scegliere agli studenti se seguire l’ora di religione o l’ora di educazione civica? Due ore in contemporanea: o una o l’altra. Niente ora di buco.
Marina Senesi: Potrebbe essere un’idea…