È stata presentata oggi alla Festa del Cinema di Roma “A casa tutti bene”, la prima serie TV di Gabriele Muccino. Prodotto da Sky Studios, Lotus Productions – Leone Film Group, distribuito da Sky Italia, sarà su Sky e su Now a dicembre.
«Ci siamo odiati tutta la vita». Nelle parole del capo famiglia Francesco Acquaroli, l’anima della serie che fa da sequel al film “A casa tutti bene” del 2018. Stessi personaggi e un cast completamente diverso, composto da Francesco Acquaroli, Laura Morante, Laura Adriani, Valerio Aprea, Euridice Axen, Maria Chiara Centorami, Silvia D’Amico. E in più, una nota crime. “Il crime mi intrigava, ma fin’ora non si era mai presentata l’occasione” – ha raccontato Gabriele Muccino in conferenza stampa.
Il segreto della riuscita della serie? Personaggi completamente riscritti, ma con l’inconfondibile firma registica di Gabriele Muccino. “A casa tutti bene”: un Gabriele Muccino con qualcosa di “Romanzo Criminale”, per una serie Sky che si appresta a fare incetta di ascolti.
I Ristuccia sono proprietari di un rinomato ristorante romano. Carlo e la sorella Sara aiutano i genitori a gestirlo. Carlo ha una figlia, un’ex moglie e una compagna invisa alla famiglia. Sara ha un marito infedele. L’altro fratello, Paolo, da tempo in Francia, divorziato e senza un soldo, torna per crescere il figlio. Un giorno i Mariani, altro ramo della famiglia, per avere un posto nell’attività, minacciano di far riemergere un segreto dei Ristuccia.
Gabriele Muccino ha raccontato in conferenza stampa la genesi del suo progetto
Perché fare una serie dal film
«La cosa curiosa è che non ho deciso di fare una serie dopo aver girato il film. L’idea mi è venuta mentre giravo il film», spiega Gabriele Muccino. «Ricordo che con gli attori dicemmo: non può finire così, sono personaggi troppo pieni di energia, di problematiche inespresse. Sentivo una tale forza in questi personaggi, che era un peccato lasciarli sull’isola. Ovviamente si manifestò subito l’impossibilità di tenere il cast originale: erano tutti impegnati in altri progetti. Allora abbiamo ricreato un cast che avesse la stessa forza dell’originale. Era una scommessa impegnativa, una sfida difficile, ma che ho sentito di voler portare a termine».
«Non è la prima volta che faccio esordire attori non ancora affermati», ha continuato Gabriele Muccino. «Lavorare con un cast poco conosciuto era uno stimolo forte. Con Francesco Acquaroli avevo già lavorato, ma sempre in cortometraggi. Con Laura Morante avevo lavorato in Ricordati di me. Il film finiva in modo tranchant e pessimistico. Un finale implacabile. Ero curioso di sapere come sarebbe stata la loro vita a Roma, una volta tornati a casa. Cosa sentono, come vivono, chi sono realmente. Ricreare i personaggi è stato stimolante».
«Quando abbiamo lavorato alla serie televisiva, non volevo cambiare linguaggio e renderlo convenzionale», prosegue il regista. «E non potevo trovare un regista che potesse sostituirmi, che mi assomigliasse. Avrei avuto bisogno di collaboratori, ma il mio linguaggio è personale e io insostituibile. I produttori volevano il mio linguaggio. Quindi alla fine sono rimasto per tutte le puntate della serie prodotta da Sky. La diversità riguarda solo le riprese: ci sono più primi piani perché è girato per essere visto in televisione, non al cinema. Era un progetto pericoloso sulla carta, ma ha funzionato».
Perché parlare di famiglia
«Se l’armonia in famiglia fosse la regola, vivremmo in una società senza conflitti e sopraffazione, senza il cannibalismo degli uomini sugli uomini. Le dinamiche strutturali che tengono insieme le famiglie, l’uomo che cerca consenso e potere all’interno comunità, sono le stesse da sempre. L’uomo non impara nulla. Ripete da sempre gli stessi schemi. L’avidità è alla base dei comportamenti umani e di conseguenza è una delle forze che muove il cinema come forma d’arte. Per questo non smetterei mai di parlare di famiglia», ha concluso Gabriele Muccino.