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Alviero Martini: «Ho fatto qualcosa di unico che non aveva mai fatto nessuno, e ho raggiunto il mio obiettivo a piccoli passi»

Alviero Martini, intervista esclusiva allo stilista
La sua storia la racconta lui stesso nel libro “Andare Lontano Viaggiando. Autobiografia di Alviero Martini”. Nel sottotitolo è racchiusa l’essenza della sua vita: un romanzo.

«È una storia motivazionale. La uso quando spiego nelle università, nelle scuole, nelle case di cura, nelle università, nei teatri. È la storia di un ragazzino nato in Piemonte che sognava di viaggiare e ci è riuscito». Inizia così la nostra chiacchierata con Alviero Martini, lo stilista globetrotter.

In questa intervista lo stilista ci racconta come è nata la sua storia, dalla prima Geo Collection nata quasi per caso, al successo internazionale dapprima con 1a Classe, e oggi con ALV Andare Lontano Viaggiando, il suo brand di pelletteria made in Italy.

Quando inizia la sua storia?

Alviero Martini: Quando a otto anni mia zia mi chiese cosa avrei fatto da grande. Le risposi “qualcosa di unico che non ha mai fatto nessuno”. Non sapevo cosa, ma volevo fosse lontano dai campi dove ero nato. Avevo lanciato all’universo una frase potente che mi sono portato dietro per anni, ma questo qualcosa di unico non riusciva a prendere forma. Si è concretizzato trent’anni dopo: creare borse con le carte geografiche. Quel qualcosa di unico che non aveva mai fatto nessuno era lo stilista viaggiatore. 

Alviero Martini, intervista esclusiva allo stilista
Photo Credits: Fabio Gallo©

Per essere ascoltato dall’universo, deve aver urlato con grande determinazione…

Alviero Martini: Se si grida alla terra, i sassi non ascoltano. L’universo ascolta e a tempo debito risponde. L’importante è conservare la determinazione, la volontà e l’umiltà. E essere generosi, perché per ricevere bisogna dare. Non si chiama fortuna. Quella è quando vinci la lotteria. 

La mia è iniziata quando a New York incontrai la buyer di Bloomingdale’s del reparto pelletteria. Le piacque lo zainetto che indossavo e me ne ordinò tremila pezzi. Ma non è stata fortuna: era l’effetto di cause che avevo messo nell’universo. Ci sono stati momenti in cui stavo per arrendermi. Molti rinunciano ai propri obiettivi dopo i primi fallimenti. Ho cambiato molti mestieri, sfidandomi al massimo, ma non era quella cosa unica che cercavo. Oggi i ragazzi vogliono tutto e subito. Ci vuole la cultura dell’attesa, che si chiama gavetta. Un obiettivo si costruisce a piccoli passi.

Alviero Martini, intervista esclusiva allo stilista
Photo Credits: Fabio Gallo©

Quando creò l’iconica Geo Collection, faceva il vetrinista

Alviero Martini: Sì. Un giorno mi chiamano per rifare una vetrina. Ho preso una vecchia valigia cinese rotta, l’ho foderata con quella carta e ho arredato la vetrina. Dopo pochi giorni mi chiamano dicendo che entravano clienti solo per comprare quella valigia. Una signora la voleva a tutti i costi e io dissi: ditele che tra sei mesi sarà in produzione. In realtà ci vollero due anni, ma il mio progetto stava diventando una cosa concreta. 

Il successo lo ha raggiunto all’estero

Alviero Martini: Il mercato italiano non riconosce subito i talenti: ha bisogno che il prodotto sia già affermato. Negli Stati Uniti sono aperti alle novità, per cui affittai una suite in un hotel di New York e presi appuntamento con le dieci giornaliste più importanti. La prima era la giornalista del New York Times. Le raccontai la storia  di come era nata la mia linea di valigie e lei la pubblicò sull’edizione della domenica. Ho dato l’esclusiva anche a Vogue, Elle, Harper’s Bazar. In quei giorni incontrai per strada la famosa buyer. Disse: “martedì sono a Roma e vengo nel suo showroom”.

Le avevo dato un biglietto da visita dove furbescamente avevo scritto showroom: in realtà era l’indirizzo di casa. Inventai che era impraticabile e le diedi appuntamento all’Hotel d’Inghilterra. Prenotai un’altra suite. I sedici modelli di borse che le proposi diventarono settanta, declinati secondo le esigenze del mercato statunitense: soprattutto taglie large ed extra large. Il giorno prima, rientrando a casa, avevo trovato un giapponese che aveva letto l’edizione domenicale del New York Times, distribuita anche in Italia, che mi dice: “Mr Martini, vorrei salire in show room”. Fissai anche a lui un appuntamento all’hotel d’Inghilterra. Era il rappresentante in Italia della buying company che distribuiva in Giappone Vuitton, Chanel e Prada. Chiese tutto piccolo, in stile giapponese. Mi fece un ordine di settemila pezzi e mi propone un contratto di distribuzione per sette anni. Da lì inizia la storia dello stilista viaggiatore. In Italia la mia collezione veniva rifiutata perché stravagante. Quando arrivò in tutti gli aeroporti del mondo, il mercato italiano si accorse di me. Aprii la boutique in via  Montenapoleone. Fu un successo mondiale. Ho avuto testimonial come Witney Huston e Dustin Hoffman. Richard Geere venne all’inaugurazione della boutique di Milano. 

A quattordici anni inizia a lavorare in una sartoria. Dior e Chanel erano sarti come lei. Oggi i ragazzi escono dalle accademie. Fa la differenza?

Alviero Martini: Senza la conoscenza della sartorialità e delle materie prime non si va da nessuna parte. Manca la gavetta in sartoria. Ho avuto stagisti che erano pessimi stilisti ma bravi esperti tessili. Quando parlo ai ragazzi di lana, flanella, gessato, tessuto jacquard, cardatura, mi guardano spaesati. Oggi i ragazzi fanno gli influencer. È stato sdoganato un mestiere che non ha nulla a che fare con la moda e lo stile. Sono solo altri venditori. 

Alviero Martini, intervista esclusiva allo stilista
Photo Credits: Fabio Gallo©

Le collezioni che stanno sfilando tra poco saranno in vendita negli store di brand low cost internazionali

Alviero Martini: È un altro malessere della società, che per spendere meno ignora le regole del mercato e del commercio. Copiare non importa, purché costi meno. Quei brand non fanno moda, ma prodotto che la gente chiama moda. Che sia fatto in Cina, in Pakistan, dai bambini che lavorano dodici ore al giorno, non frega niente a nessuno. Bisogna ristabilire un’etica. 

Anche molti stilisti famosi fanno capsule collection per brand low cost

Alviero Martini: Il denaro affascina. Sono stato avvicinato, ma non ho mai accettato. Non è giusto nei confronti dei miei clienti fare una capsul per una catena che vende a 18 euro un prodotto che ha il mio nome ma non la qualità. 

Tempo fa al Micam, la fiera della calzatura, un ministro mi ha chiesto di cosa avesse bisogno il nostro settore. Ho risposto: riscrivere le regole del commercio. C’è bisogno di regole più forti per sanzionare la copia e la contraffazione. Occorre regolamentare i grandi marchi che lei ha menzionato, che copiano collezioni intere e le rimettono sul mercato a prezzi indecenti, che comprano i tessuti dove li compro io. Ma ne comprano mille volte tanto a prezzi bassi. Le ditte dovrebbero darmi l’esclusiva ma, davanti al denaro, chissene frega dell’esclusiva. Ci vuole un’etica che va scritta e fatta rispettare da chi non ce l’ha. 

Alviero Martini, intervista esclusiva allo stilista

La Francia tutela le sue aziende. Noi?

Alviero Martini: La Francia ha capito che ci vuole protezionismo. Ho vissuto a lungo negli Stati Uniti ed ero membro della Camera della Moda statunitense, accanto a Donna Karan e Ralph Lauren. Lì c’è corporativismo, come in Francia. In Italia c’è un forte individualismo. Gli stranieri producono il lusso in Italia e noi abbandoniamo il made in Italy di qualità. Se un’azienda chiude, non è spazio che si libera sul mercato, ma un pezzo di Italia che muore. 

In una delle ultime interviste, Karl Lagerfeld lodava le piccole produzioni artigianali italiane, che lui usava nelle sue produzioni di alta moda. Noi le abbiamo abbandonate a loro stesse, perdendo parte delle nostre tradizioni…

Alviero Martini: Volevamo cancellare il passato, essere al passo coi tempi, e la filanda era una cosa da dimenticare. Molte fabbriche non riapriranno e, se lo faranno, sarà grazie a capitali stranieri.

Io produco delle borse in Italia e altre all’estero. Un giorno un famoso stilista, con un brand più forte del mio, che aveva bisogno di fare cassa, immise sul mercato una borsa da 120 euro. Ho dovuto adeguare i miei prezzi per non uscire fuori mercato. Sono stato costretto di aggiungere linee prodotte in Cina. Ma al cliente italiano non importa nulla. Non guarda dove è fatto. L’importante è che costi poco. 

Nel 2005 ha lasciato 1a Classe ma ha continuato a fare pelletteria

Alviero Martini: I miei soci volevano realizzare un progetto più commerciale, mentre io volevo continuare a produrre oggetti unici che restassero nel tempo. Non avevo molte armi: il potere economico era nelle loro mani. Ho dato vita a un altro percorso creativo che si chiama ALV, Andare Lontano Viaggiando. L’idea l’ho trovata nel cassetto i miei vecchi passaporti scaduti. Per me il passaporto era simbolo di conquista e di tutti i miei viaggi. Con i timbri ho fatto una texture che si chiama Passport. 

Alviero Martini, intervista esclusiva allo stilista
Photo Credits: Fabio Gallo©

ALV significa anche amare la vita.

Alviero Martini: È quello che faccio come testimonial di Dicare&Share, un’organizzazione che si occupa di infanzia abbandonata in India. Io sono il testimonial italiano, con gli eventi creati grazie al mio sostegno vengono raccolti fondi.

È su Clubhouse. Che ne pensa?

Alviero Martini: Mi piace. ClubHouse è il social che ha rivalorizzato la conversazione. Niente emoticons. Qui si parla con garbo ed educazione. Trovo interessante scambiarsi idee e ascoltare. 

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