Lucrezia Ercoli, direttrice artistica del Festival Popsophia e docente di Storia dello spettacolo e Filosofia del teatro presso l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, presenta il suo nuovo libro dal titolo Chiara Ferragni – Filosofia di una influencer, edito da Il Melangolo.
Chiara Ferragni è tra le fashion blogger e influencer più importanti del pianeta, amata e demonizzata, studiata e discussa. Perché c’è tanto disprezzo e tanto amore nei suoi confronti? Cosa smuove questa figura in follower e odiatori? Cosa ci dice di noi il “fenomeno Ferragni”? Tra luci e ombre, tra democratizzazione della cultura e consumismo di massa, la figura dell’influencer nella società odierna interroga ciascuno di noi sui significati del desiderio, dell’espressione di sé e dell’identità. Muovendosi tra la semiotica di Roland Barthes e la sociologia di Marshall McLuhan, passando per numerosi riferimenti pop, Lucrezia Ercoli in Chiara Ferragni – Filosofia di una influencer, ragiona senza mai perdere in concretezza di come alcuni vasti fenomeni sociali che caratterizzano la contemporaneità riflettano aspetti profondi degli esseri umani. L’esperienza di Chiara Ferragni diventa uno specchio di noi stessi e, forse, il suo segreto è proprio questo.
Chiara Ferragni, filosofia di una influencer: intervista a Lucrezia Ercoli
Come nasce Chiara Ferragni – Filosofia di una influencer?
Lucrezia Ercoli: L’idea del libro nasce dalla consapevolezza – maturata negli anni di direzione artistica del festival “Popsophia” e nel dialogo quotidiano con i miei studenti in Accademia di Belle Arti – che l’arte e la filosofia oggi possano, anzi debbano, confrontarsi con i fenomeni e con i personaggi che trasformano il nostro immaginario e che riempiono il nostro spazio pubblico. E se esiste uno “spirito del tempo”, per usare il fortunato titolo del sociologo Edgar Morin, sicuramente Chiara Ferragni ne è una perfetta declinazione.
In che modo si è documentata sulla vita di Chiara?
Lucrezia Ercoli: Documentarsi su Chiara Ferragni vuol dire entrare nella sua narrazione transmediale: tra giornali, cinema, televisione e social network c’è un dialogo continuo dove collidono contenuti mediatici differenti. Nel libro cito interviste sui quotidiani, post sui social, frammenti di storie Instagram, momenti del suo film “Chiara Ferragni Unposted”. Ma ho aggiunto anche una bibliografia di riferimenti filosofici e culturali, a cui faccio riferimento per connettere il fenomeno Ferragni in una prospettiva più ampia.
Cosa le colpisce maggiormente di una donna come la Ferragni?
Lucrezia Ercoli: Paragonarla alle altre influencer è riduttivo. Basterebbe ricordare che nel 2015 Harvard ha aperto un case study per analizzare il successo del suo blog The Blonde Salad, aperto nel lontano 2009. Chiara Ferragni è stata la pioniera italiana della democratizzazione della moda profanata dall’invasione delle fashion blogger. Oggi è un fenomeno complesso, molto interessante dal mio punto di vista, perché oltre a rappresentare una professionalità inedita (quella dell’imprenditrice digitale come giustamente ama essere definita) incarna molti dei cambiamenti dell’universo dei nuovi media.
Come si riesce ad essere naturali e senza filtri, sui social?
Lucrezia Ercoli: Non si può. L’assoluta naturalezza, l’esposizione #nofilter, è solo un miraggio: non esiste nulla che non sia mediato, tutto è filtrato dal nostro punto di vista e da quello di chi ci guarda. Nel libro cerco di mostrare come si costruisce la “retorica della naturalezza” che sorregge l’impalcatura del successo dell’influencer. Così come ci vuole un bravo fotografo per costruire uno scatto in una posa perfettamente spontanea, ci vuole tanto lavoro per costruire la perfetta naturalezza.
Ma, attenzione, non si tratta di demonizzare il mondo di Chiara Ferragni, questo è un aspetto che riguarda tutti noi. Siamo tutti coinvolti nella costruzione quotidiana della nostra identità sul web, i social sono la nostra casa digitale dove vogliamo essere visti, ascoltati, riconosciuti e apprezzati. E per questo tendiamo a costruire la nostra narrazione eliminando e censurando gli aspetti deteriori, filtrando il negativo.
Nel suo libro parla anche della visita di Chiara agli Uffizi, che tra polemiche e consensi ha portato un forte incremento al numero dei visitatori. Le influencer possono spingere i giovani ad amare di più l’arte?
Lucrezia Ercoli: I dati parlano chiaro. È stato proprio il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, ad annunciare che – nel weekend successivo al passaggio sui profili della “divinità contemporanea nell’era dei social” – il museo è stato visitato da 3600 tra bambini e ragazzi fino a 25 anni, contro i 2839 del weekend precedente, 761 in più, con un incremento del 27%. Ferragni parla spesso del “potere della condivisione”, e lo ha ampiamente confermato creando quello che nel libro definisco, per usare una metafora virologica, un “contagio positivo”.
Affronta anche il tema degli haters. I social sono un’arma a doppio taglio, quindi?
Lucrezia Ercoli: Oltre ai follower, sui social si compatta anche il gruppo degli odiatori. Anche questo è un modo per essere riconoscibili e riconosciuti: siamo definiti (e per questo apprezzati) da ciò che denigriamo, forse più che da ciò che apprezziamo. In molte critiche, innegabilmente, si nasconde un’invidia che spesso tradisce interesse. Quando si invidia una cosa inevitabilmente non si è più separati da lei, invidiare vuol dire stabilire una relazione, un legame. Non siamo indifferenti a ciò che invidiamo.
In che modo, secondo lei, la Ferragni aiuta l’emancipazione femminile, in un’era in cui c’è ancora molto per cui lottare?
Lucrezia Ercoli: Chiara Ferragni incarna la possibilità per una donna di inventarsi una professionalità senza necessariamente avere l’approvazione di tutti. Il suo film, per molte ragazze, è stato un vero inspirational movie: “potete farcela da sole, non avete bisogno di un uomo per realizzarvi”. In un mondo dove c’è ancora un enorme gender gap tra gli stipendi degli uomini e delle donne, dove nelle posizioni apicali ci sono spesso solo maschi, la Ferragni è amministratrice delegata e presidente della sua società. Finalmente “she is the boss”.
Allora, cosa significa per lei l’unicità?
Lucrezia Ercoli: L’universo della Ferragni – specchio di ciò che accade nella vita di ciascuno di noi – è in una continua tensione tra imitazione e differenziazione, tra omologazione e unicità. Il nostro desiderio è sempre duplice e contraddittorio: essere in-group e simultaneamente out-group, conformarsi alla società e di affermare la propria individualità. Per capire davvero che cos’è il desiderio di unicità, si può utilizzare proprio la moda come specchio dell’intera dinamica sociale. La creazione della casa di moda (uguale per tutti) è indossata all’interno di una cornice di riconoscibilità (diversa per ciascuno), soggettivizzata dall’influencer all’interno di momenti emotivi e gusti personali.