«Le parole sono importanti!», urla Nanni Moretti in uno dei suoi film più famosi. Nasce dalla stessa convinzione il nuovo settimanale di Rai3, Le parole per dirlo, condotto da Noemi Gherrero insieme ai professori Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, ambedue linguisti.
Le parole per dirlo andrà in onda su Rai3 ogni domenica, a partire dal 18 ottobre, dalle 10.20 alle 11.10. Un appassionante viaggio nella lingua italiana, per raccontare il nostro modo di parlare nei suoi aspetti più vitali e concreti. Conduttrice la bellissima Noemi Gherrero, napoletana, presentatrice, fotografa, attrice, che ospiterà durante la prima puntata, in onda domenica 18, un ospite d’eccezione del calibro di Corrado Augias.
Aspettando di vederla domenica su Rai3, Noemi Gherrero è su WondernetMag.
Intervista a Noemi Gherrero
Laureata in Relazioni Internazionali e Diplomatiche all’Università L’Orientale di Napoli, modella, attrice e conduttrice. Cosa avrebbe voluto fare dopo la laurea?
Noemi Gherrero: Nel corso della mia infanzia ed adolescenza ho alternato parecchi mestieri. Nello specifico, ho seguito questo corso di laurea perché volevo fare giornalismo, l’inviata speciale stile Giovanna Botteri che è sempre stata il mio mito. Se non avessi fatto questo, un’altra strada possibile sarebbe stata quella delle ONG.
Non si hanno molte notizie sulla sua vita privata. Vuole che resti tale o ci racconta di lei?
Noemi Gherrero: Beh… perché non ho un privato! (Ride) Scherzo… nel privato ho una vita piuttosto normale, ho una relazione da un paio di anni e dopo molto tempo vissuto in piena autonomia, adesso sono rientrata in famiglia in attesa di capire come si indirizzeranno le cose. Ho poco tempo libero, e quello che ho lo trascorro tra sport, viaggi e qualche cena con gli amici.
Molte ragazze pensano che avere un bel fisico, essere fotogeniche e social siano i requisiti per avere successo. Quanto contano i suoi studi nella sua carriera e quanto il suo fisico? Sarà la bellezza a salvare il mondo o la cultura?
Noemi Gherrero: Io ho sempre pensato che fosse la bellezza a salvare il mondo, per citare Dostoevskij, ma io ho una concezione molto più ampia della bellezza. La bellezza per me significa armonia dei sensi, totalità delle cose, luce. Una cosa è bella perché tocca il tuo cuore, perché fa bene all’anima, perché allieta la vista. La stessa cultura è bellezza, perché stimola l’intelletto. La mia è una visione molto più poetica, che si rifà tanto all’opera d’arte quanto alla persona. Tutto questo non può di certo essere rappresentato da immagini prive di sostanza e molto spesso, ahimè, anche di forma. Oggi spesso si fa fatica a guardare oltre “il velo di maya” e si pensa che l’illusione che la società ci regala del successo facile e dell’omologazione stereotipante, sia la chiave per ottenere ciò che si vuole. Nulla di più sbagliato. Secondo me, riesce chi invece è diverso e mantiene una “purezza”, una sua integrità di idee, di personalità, di estetica.
Le è stata affidata la conduzione di “Le parole per Dirlo”. Il titolo colpisce, visto l’impoverimento della nostra lingua, l’uso diffuso di faccine per esprimere quello che non sappiamo più dire a parole. Che tipo di trasmissione è e che obiettivo si propone di raggiungere? Quanta urgenza c’è di imparare di nuovo ad usare “le parole per dirlo”?
Noemi Gherrero: La trasmissione si pone un obiettivo altissimo e, già di per se, questa è una sfida stimolante. Mi piacciono le cose complicate e in controtendenza. Ma siamo veramente certi che siamo in controtendenza? Ho visto grande attenzione al programma, questo significa che forse la gente sente l’esigenza di toccare con mano questo “impoverimento”, sente di riconoscersi in qualcosa di più culturale, che affronta questioni più vere, più vicine alla vita di tutti i giorni, per tutti noi comuni mortali. Non sarà solo un programma che approfondirà la lingua, ma faremo un viaggio nel tempo guardando com’era una volta e com’è oggi, cercheremo di capire che cosa è successo e cosa è il caso di introdurre e perché. Parleremo di “linguaggi”, di modelli culturali e linguistici, sottolineando quanto forte sia il nesso fra il nostro vocabolario e la capacità di saperlo usare e la nostra empatia verso la gente, la nostra capacità di saper esprimere cosa sentiamo.
Alberto Angela in prima serata ha battuto Temptation Island. C’è voglia/bisogno di tornare a una televisione di contenuti o è solo un caso?
Noemi Gherrero: È quello che anticipavo prima. Credo che stiamo attraversando un momento di forte smarrimento identitario e culturale. Ogni fase decadentista è sempre susseguita da un Rinascimento. È stato così nel 1400, non vedo perché non debba essere così anche oggi. Alla fine, la storia si ripete. Nulla contro i programmi di tendenza, quelli gossippari dove si fa leva sulle emozioni “facili”, ma credo che un uomo debba essere consapevole di cose ben più importanti. Credo che oggi la gente ricerchi qualcosa che concretamente si avvicini a loro, senza creare gap tra i cosiddetti vip e la gente comune. Il lusso estremo, la superficialità nei contenuti, immagini di donne bellissime che sono il frutto della chirurgia, le diatribe personali che poi diventano pubbliche… tutte cose che non fanno parte della vita vera, sono il frutto di un’attenta ricostruzione. La gente vuole verità, vuole sentirsi accolta e, perché no, imparare qualcosa di nuovo. Lo dico anche da spettatrice.
Per un giornale on line sta conducendo un’inchiesta riguardante la sessualità, con particolare sguardo alla sessualità nella disabilità. Come nasce questo progetto? Ce ne può parlare?
Noemi Gherrero: Al momento mi sono fermata, visti i tanti impegni, ma riprenderò a breve l’inchiesta che intendo portare a termine per due motivi. Anzitutto per coscienza civica, poi per interesse personale.
Sento molto forte la questione sul genere, ma il mio non è un approccio da femminista pura. Mi interessa studiare i fenomeni, ricercare le crepe culturali che ancora fanno parte del nostro “codice morale” quando parliamo di ruoli, di “uomo” e “donna”. Il mio intento è quindi quello di avere una visione a tutto tondo, dimostrando come oggi più che mai la sessualità è solo parzialmente conosciuta in tutti i suoi aspetti. Quello di azzerare gli stereotipi che riguardano l’uomo e la donna. Infine, concentrare l’attenzione sul fatto che per i diversamente abili, soprattutto donne, vivere la sessualità è quasi sempre impossibile e non solo per via dei problemi fisici, ma soprattutto per i limiti culturali che ci condizionano.
Leggo che è appassionata di psicologia e antropologia culturale. Quanto la televisione trasmette ancora l’ “Heterosexual Script”, il copione eterosessuale, ossia una diffusione più o meno celata di una cultura che educa ad essere eterosessuali? Mi riferisco a quei copioni con precise strategie di corteggiamento, dove gli uomini attirano con soldi e potere e le donne con la bellezza fisica e la sessualità.
Noemi Gherrero: Negli Stati Uniti parleremmo di modello wasp, bianco anglosassone e protestante. In Italia la questione di genere diventa predominante perché è una problematica che non abbiamo mai veramente affrontato. La mia opinione è che non si tratta soltanto di una questione religiosa, relativa al fatto che il nostro è un Paese fortemente cattolico e quindi fortemente conservatore. Credo che stiamo assistendo da decenni a un’inversione dell’emancipazione femminile. Spesso si pensa che essere libere, anche sessualmente, significhi proporre e riprodurre modelli di laconica permissività. Se è vero questo, e se è vero che per le donne diventa sempre più importante, sentirsi sessualmente appetibili, allora restare all’interno di categorie di pensiero poco coraggiose e piuttosto retrograde, rimanere in una zona di comfort, ci fa stare meglio che osare e invertire la rotta. In questo senso è normale riproporre immagini di giovani donne belle e poco vestite, sottomesse all’uomo ricco e di successo. Anche perché è sempre l’uomo ad avere successo, mentre la donna resta a casa, magari con la manicure fatta e la messa in piega pronta. Credo che siamo davanti a una dimensione di grande rinuncia alla vera autonomia dal lato femminile. Ed è un fenomeno molto italiano. Resto interdetta tutte le volte che sento critiche a donne di successo, magari poco sensuali per i canoni moderni, che arrivano soprattutto da parte delle donne, come nel caso della modella di Gucci. Le sedimentazioni culturali impiegano secoli a morire o a trasformarsi, ma nella nostra amata Italia sembra che ci voglia ancora più tempo. Se stiamo messi così, dove pensiamo di poter mai andare?
Un problema diffuso è la violenza di genere. Scene di violenza fisica in programmi di intrattenimento o fiction, sono diffuse. La violenza agìta dagli uomini verso la propria partner risulta in questo modo minimizzata o addirittura normalizzata?
Noemi Gherrero: Certamente quello che guardiamo, che viviamo, influisce su di noi, ma dobbiamo tener presente che la ricostruzione scenica è scevra da pregiudizi morali. È una linea sottile, ma bisogna tenere separate la realtà dalla fiction, altrimenti togliamo lo spazio di azione dell’arte stessa. Da conduttrice di un programma che arriverà a migliaia di persone, è una domanda che sento molto. Mi interrogo spesso sul senso di responsabilità e il senso civico di chi approccia alla dimensione pubblica..ma da attrice, penso che l’arte debba mantenere integra la sua valenza. Un personaggio pubblico ha una responsabilità, ma quando parliamo di film o ricostruzioni sceniche, dobbiamo tener presente che le storie, reali o di fantasia, non hanno moralità. Sono storie e basta. In tal senso credo che la rieducazione ai valori e alla civiltà debba passare per altri strumenti, come la scuola, il posto di lavoro, l’educazione in famiglia. Le storie devono essere libere di essere raccontate, non possiamo fare censura su quanto accade né smettere di ricostruire in maniera fantasiosa quello che autoralmente passa sotto il nome di “licenza”. L’arte ha bisogno di raccontare i disagi, le violenze, le storie dei serial killer o dei predatori, tanto quanto le storie romantiche e le commedie . Dobbiamo lasciare l’arte libera di esprimersi senza limiti, poiché quella è la sua dimensione. Diverso è forse per il programma televisivo, che è più invadente. Più programmi educativi e culturali esistono, più le persone hanno modo di confrontarsi e crescere in un mondo concreto. Ma, anche in questo caso, credo che lo spettatore debba essere dotato di strumenti di consapevolezza tali da potergli permettere di guardare con lucidità e consapevolezza qualsiasi programma.
Trova che utilizzare termini come “delitto passionale” o parlare di gelosia dell’uomo che esercita violenza, sia un modo per normalizzare o minimizzare i maltrattamenti all’interno della coppia o tra due persone in genere?
Noemi Gherrero: Non credo sia possibile razionalmente giustificare qualsiasi forma di violenza. Onestamente, credo che parlare di “delitto passionale” non sia altro che un’etichetta come tante altre per dare un nome figo a qualcosa che altro non è che aggressività repressa. Indubbiamente i media hanno una loro responsabilità, ma da essere umano e da cittadina, mi rifiuto di pensare che il libero arbitrio e la coscienza si addormentino solo perché diamo un nome a qualcosa che è il frutto dell’ombra che è da sempre presente nell’animo umano. Bisogna dare esempi diversi, combattere le forme di violenza inaudite e gratuite, ma non chiudendo gli occhi dinanzi alla brutalità delle cose e dei racconti. Anche così si sviluppa una propria coscienza.
Crede che stampa e televisione debbano assumersi la responsabilità di rivedere il loro linguaggio? Non crede siano spesso portatori di un linguaggio violento e aggressivo?
Noemi Gherrero: Indubbiamente abbiamo assistito a una deriva anche nel linguaggio tv. Ma questo perché la tv è lo specchio della nostra società, e la nostra società è permeata da varie forme di odio. Vogliamo parlare delle liti nel nostro Parlamento, per esempio? Il discorso è che usare un certo tipo di linguaggio fa più audience, come pure parlare di gossip e tradimenti. È quello che si chiama “populismo”. Scelte facili per emozioni facili che fanno leva sulla gente. L’animo umano è fatto anche di ombre, di sentimenti perversi, di aggressività repressa e invidia. A tutti piace guadagnare senza faticare, e fare leva su sentimenti bassi è una scelta strategica.
Rai3 è probabilmente un ambiente più protetto rispetto ad altre reti o ad altre tv private. Ma è mai stata vittima di maschilismo o anche di sessismo benevolo? Quanto sono diffusi?
Noemi Gherrero: Rai3 è in assoluto la rete che più mantiene una propria integrità identitaria. Chi guarda Rai3 sa bene cosa sta guardando: una rete che conserva ancora la vecchia mission culturale e divulgativa. Io sono stata accolta con grande calore e senza troppe formalità. Quello che ho apprezzato maggiormente è stata l’apertura, l’umanità e la grande preparazione di tutto il team che lavora alla trasmissione. Li considero già una famiglia. Nella mia carriera sono stata piuttosto fortunata, perché ho lavorato con persone che mi hanno apprezzata. Però ho anche fatto scelte coerenti con il mio modo di lavorare. Anch’io ho affrontato pregiudizi e stereotipi vari della bionda carina che difficilmente poteva essere brava, o dell’attrice che non poteva fare la presentatrice, perché in Italia se sei una cosa non puoi esserne un’altra. Per un po’ ne ho sofferto, ma ho sempre continuato a cercare un ambiente lavorativo dove fossi a mio agio… e la chance è arrivata.
Ha altri progetti ai quali sta lavorando?
Noemi Gherrero: Al momento sto lavorando sul set del film Vecchie canaglie, per la regia di Chiara Sani, con Lino Banfi, Greg, Andrea Roncato e tanti altri colleghi strepitosi. In questo film ho un ruolo divertente e molto diverso dalle mie corde. Dico solo che il personaggio trae spunto da Goldie Hawn in Fiori di Cactus. Poi ho la mia mostra fotografica: un concept realizzato durante il periodo della quarantena che consiste in 21 scatti fotografici in cui interpreto sentimenti e riflessioni nate durante il lockdown e nella prima riapertura. Al momento la mia mostra è a Pisa, il 10 dicembre inauguro a Verona, anche con una personalissima performance dove interpreto alcuni scatti.
Un progetto che vorrebbe realizzare?
Noemi Gherrero: Mi piacerebbe lavorare nel cinema, ad esempio con Paolo Sorrentino, che trovo geniale. In generale mi piacerebbe poter testimoniare sempre di più la conquista dei propri obiettivi attraverso lo studio, la fame, la gavetta e le scelte, anche quelle più dure. La cosa più importante per chi fa il mio lavoro, è emozionare e arrivare alla gente e vivere dell’entusiasmo e della luce che la gente ti restituisce.
Molte donne in Italia ancora oggi devono scegliere tra carriera e famiglia. Lei sceglierebbe? Cosa?
Noemi Gherrero: Non necessariamente una esclude l’altra. Io scelgo la Vita nella sua interezza, e scelgo le cose che amo fare e che mi fa stare bene fare. Questo nel lavoro quanto nella vita privata. Ognuno di noi ha una missione: la creatività, come diceva il grande psicologo James Hillman, appartiene a tutti e ognuno di noi può tirare fuori da sé stesso la creatività tale per realizzare i propri sogni, senza rinunce.