Nata a Palermo nel 1984, diplomata presso l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica, Dajana Roncione dopo alcuni lavori teatrali ha debuttato sul grande schermo nel 2009 nel film Il grande sogno, diretto da Michele Placido. Lo stesso anno ha partecipato a Baaria, di Giuseppe Tornatore.
A marzo l’abbiamo vista nel film La concessione del telefono – C’era una volta Vigata, tratto da uno dei romanzi di maggiore successo dello scrittore Andrea Camilleri. Ha riscosso grande successo anche la sua interpretazione nel biopic Io sono Mia, trasmesso in replica qualche settimana fa su Rai1, dove Dajana si è calata nel ruolo di Loredana Bertè. Da diverso tempo si è trasferita ad Oxford dove vive con il suo compagno Thom Yorke, il frontman dei Radiohead. Dajana Roncione è un’artista in continua evoluzione con una carriera fatta di realtà e verità, dove passo dopo passo delinea se stessa, senza mai dimenticare le sue radici.
Come stai vivendo questo periodo?
Vivo in Inghilterra, è davvero un momento molto triste. Nel momento in cui in Italia è iniziata la quarantena, ho deciso di seguirla anche io da qui e ho preso tutte le precauzione possibili. Ad Oxford non c’è ancora una ripresa delle attività commerciali, mentre in Italia pian piano la vita sta riprendendo. Bisogna stare molto attenti a come ci comportiamo, non prendiamo questo allentamento delle restrizioni come un “via libera” definitivo. Piuttosto sfruttiamo questo momento storico come questo per capire quali sono le vere priorità, quali cose hanno un senso e quali no. Trasformiamo questo periodo in qualcosa di positivo per la nostra coscienza. Non bisogna aver paura di cambiare le nostre priorità: le cose mutano, e dobbiamo essere capaci di adattarci.
Cosa rappresenta il cambiamento per un’attrice e una donna in continua evoluzione come te?
Da bambina l’ho sempre vissuto come un trauma, come qualcosa che faceva paura. Poi ho capito che a me piace evolvermi, fare delle cose che mi permettono di cambiare e di superare certi limiti. È sicuramente più facile rifugiarsi nelle certezze, nella comfort zone di quello che già conosciamo. Ma il cambiamento è l’elemento che più ci rende vivi. Ho un rapporto conflittuale con questa parola, eppure sono sempre alla sua ricerca. Le cose cambiano, le esperienze ci cambiano, i rapporti ci cambiano. Mi fa bene risolvere le cose che non capisco e dare delle risposte alle domande che mi pongo.
Sabato scorso ti abbiamo vista in Sei personaggi in cerca d’autore diretto da Michele Placido su Rai Cultura. Quanto può avvicinare le persone un elemento artistico come il teatro, nel momento storico che stiamo vivendo?
Il teatro può essere un’esperienza e un’opportunità per scoprire, come dicevo, anche nuove priorità. In questo periodo ho visto vari spettacoli teatrali trasmessi in TV. È giusto che la televisione, in un momento come questo, dia l’opportunità alle persone che solitamente non vanno a teatro di avvicinarsi a questo mezzo di comunicazione. Portare gli spettacoli teatrali sul piccolo schermo è un bellissimo modo per esplorare l’arte e i suoi autori. Il teatro è un arricchimento culturale.
In quest’opera hai interpretato il personaggio della Figliastra. Com’è stato tornare a lavorare accanto a Michele Placido?
Quando si interpreta un personaggio del genere, è inevitabile sentire il peso di una certa responsabilità, data l’importanza storica e culturale dell’autore. Con Michele ho fatto una lunga lettura dell’opera a tavolino, e quella lettura infinita è stata una sua grande lezione: mi ha permesso di assorbire il testo, di sperimentare più di una chiave di lettura. Pirandello è un attore complesso ed attuale che affronta molti temi importanti, e l’approccio di Michele Placido verso quest’opera è stato fondamentale per me, per interpretare per il mio personaggio. La Figliastra ha una caratteristica fondamentale: la risata. Ride di continuo, ed ogni volta diventava importante, per me, trasmettere un’emozione diversa all’interno di quella risata. Ho voluto restituire le varie sfumature che una risata può avere: di denuncia, di sfregio, di dolore, di vendetta, ognuna appropriata e specifica per ogni momento. Ho cercato di identificare la chiave del mio personaggio, non volevo limitarmi soltanto a dargli un colore. La Figliastra ha bisogno di essere ascoltata. Ha dentro di sé un’urgenza importante e una sua versione della verità, come ogni personaggio dell’opera. Sei personaggi in cerca d’autore ha rappresentato un lavoro estremamente interessante.
Cosa ha di attuale un autore come Pirandello?
Pirandello ha la capacità di farti pensare al tuo “io”, a come viviamo, a chi siamo davvero. I suoi testi si prestano a diversi livelli di esplorazione. Pirandello ci pone la domanda: “Cosa è vero, e cosa è finzione?” È un autore con un grande potere investigativo sull’individuo e su come esso si rapporta rispetto alla verità. Leggere e dar voce alle sue opere diventa un viaggio che ti permette di analizzare e di prendere coscienza del mondo che hai intorno.
Hai più volte dichiarato di essere molto riservata anche sui social. Perché?
Sui social ci si crea un’identità virtuale, un avatar. In qualche modo si indossa una maschera e si mostra una realtà che non è sempre esaustiva. Si condividono soltanto i momenti felici della vita, ci si mostra soltanto quando si appare al meglio. La verità è molto più complessa. E una volta che ci si crea un determinato ruolo, diventa difficile cambiare agli occhi degli altri. Facendo l’attrice, i social mi spaventano un po’: io voglio avere la possibilità di potermi trasformare attraverso i ruoli che interpreto. Sui social invece si viene etichettati in un certo modo, ed è difficile che le persone poi vogliano vederti in un modo diverso. Mi affascina il fatto che la vita sia un fluire continuo che cambia. In questo cambiamento perenne non è possibile prevedere una forma fissa e creare un avatar di te stesso. Esiste una realtà universale oltre a quella individuale. A volte, il mondo si rimpicciolisce in un’unica identità social quando invece la realtà è molto più complessa, e bisogna esserne consapevoli.
Sei nata a Palermo, ora vivi ad Oxford. Quanto contano le tue radici siciliane nel percorso che stai compiendo?
Andare via dalla Sicilia e trasferirmi a Roma ha rappresentato una sorta di salto gigantesco, la scoperta di un altro modo di vivere e di esporsi. Il Sud è una terra accogliente, con linguaggi personali e modi di vivere unici. Qualsiasi altra città che raggiungi rappresenta quasi un’avventura, quando provieni dal Sud. Ho lasciato la mia terra per fare l’attrice, sapevo che andare via mi avrebbe dato più occasioni. Ma l’ho fatto anche perché volevo mettermi in una sorta di situazione “scomoda”, senza più appoggi, senza le solite certezze. Volevo contare su me stessa. Adesso che vivo ad Oxford, sento che le mie radici non le ho mai perse. Anzi, più passano gli anni, più in qualche modo ho bisogno di ritornare nei miei luoghi e respirare quei profumi della mia infanzia. La cultura della Sicilia fa parte di me. La mia terra mi ha regalato la generosità, per esempio. Ed è una caratteristica che porto sempre con me. Quasi sempre, un elemento come la generosità è qualcosa di sbalorditivo agli occhi degli estranei, di chi vive fuori dal Sud. Essere capaci di dare e di condividere è qualcosa che porto nel mio modo di vivere e di relazionarmi agli altri. Questi valori sono dei pregi visibili, specialmente quando sono fuori dall’Italia.
Se pensi alla parola “libertà”, cosa ti viene in mente?
Penso ad un’energia. Ho sempre pensato che la conoscenza sia una chiave fondamentale che può avvicinarci sempre di più alla libertà. Conoscerci ci permette di capire cosa vogliamo e chi siamo. Solo in questo modo, possiamo sentirci più liberi di esistere non secondo influenze che ci muovono, ma secondo decisioni che siamo in grado di attuare dentro noi stessi. Bisogna avere la voglia e la forza di conoscerci.