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Il saluto del porcospino: il gesto che sostituisce abbracci e strette di mano nel post lockdown

La pandemia da Covid-19 ha cambiato profondamente molte nostre abitudini, tra queste anche il saluto. Niente più baci o abbracci, niente più strette di mano. Dagli atenei italiani arriva “Salutiamoci bene”, un nuovo “rito” da condividere per contrastare la diffusione del Coronavirus e riscoprire al tempo stesso i valori più profondi del nostro essere umani. 

Durante e dopo il lockdown, abbiamo dovuto inventare nuovi modi di salutarci: chi lo fa toccandosi i gomiti, chi battendo le caviglie. Pare però che queste due alternative, senza mascherina, non siano poi così sicuro, perché obbligano ad avvicinarsi l’uno all’altro più del dovuto. Così gli studenti della Luiss e di altre sei università hanno ideato “il saluto del porcospino”, con tanto di cartone animato e videotutorial dedicati.

Accompagnato dagli hashtag #behumanagain e #iosonoporcospino il saluto prevede che le due persone, una di fronte all’altra, tenendo la distanza raccomandata, si guardino negli occhi come si fa nei brindisi, portando in avanti il braccio e il palmo della mano destra per poi condurlo vicino al cuore, rivolto verso l’altro. Lo slogan è “Ti vedo, ti sento, ci sono, iosonoporcospino”.

Il saluto del porcospino può apparire un semplice gioco o espediente. Invece, come spiega il professor Angelo Monoriti, docente di negoziazione alla Luiss, che l’ha ideato e coordinato insieme alla psicoterapeuta Maria Rita Parsi, il saluto del porcospino è  un “nuovo codice di comunicazione relazionale” che si fonda su basi scientifiche e filosofiche.

“Il dilemma del porcospino” di Arthur Schopenauer

La gestualità punta a risolvere “la dissonanza emotiva tra la necessità di protezione  imposta dal pericolo del contagio e l’esigenza di umanità”. Il filosofo al quale si fa riferimento è Arthur Schopenhauer, che nel 1851 aveva elaborato il cosiddetto “dilemma del porcospino”.

“Alcuni porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono le spine reciproche. Il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di riscaldarsi li portò nuovamente a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno: di modo che venivano sballottati avanti e indietro fra due mali. Finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione”.

Il saluto del porcospino

Con un gesto possiamo dire: «Ti vedo, ti sento, ci sono»

«Dopo la quarantena le regole del distanziamento fisico diventano ora per ogni cittadino una necessità urgente – spiega il professor Angelo Monoriti – da applicare in maniera corretta per evitare di mettere a rischio la propria salute e quella degli altri. Per adottare correttamente il principio del “distanziamento fisico”, non bastano però i decreti. Occorre condurre i cittadini a motivarsi da soli. Nella Fase 2 è l’individuo a dover mettere in pratica, nel suo quotidiano, le giuste regole per riuscire a contrastare realmente, attraverso la prevenzione, il propagarsi della pandemia. Insomma, se il virus gioca con la nostra umanità dobbiamo essere abili nel cambiare gioco. 

“Salutiamoci bene” nasce proprio per identificare quei gesti-barriera che possano, però, funzionare anche come attivatori mentali in grado di ricordare costantemente ai cittadini di mantenere il distanziamento fisico, senza annullare le regole della socialità».

Quello che viene proposto insomma è una nuova forma di saluto, un nuovo rito da condividere che, non potendo utilizzare il contatto fisico, si affida allo sguardo e alla gestualità. Un gesto barriera, conclude Monoriti, che «non è un semplice saluto, ma uno sguardo. Nella mano ci sono i nostri nuovi occhi. Con un gesto possiamo dire: ti vedo, ti sento, ci sono. È l’avvio di una connessione interiore. Si tratta un gesto che richiede una frazione di tempo in più, tempo dedicato a riconoscere l’altro. Si colloca quindi anche nel solco di quella necessità di cambiamento, che deve partire dalle relazioni umane e non dai processi, che dovrà portare ad irrorare la società con azioni che promuovano lo spostamento (anche di poco è sempre essenziale) dalla logica dell’individualismo e del profitto a quella dall’etica del bene comune». 

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