Emanuela Grimalda è un’attrice di successo. Ogni sua evoluzione l’ha mostrata attraverso ogni ruolo che ha interpretato. Si è presa cura della sua arte, abbracciandola senza stringerla. Ha custodito e mostrato il suo talento come si fa con tutto ciò che è importante e delicato
Adesso, è tornata in tv con un’inedita donna nell’innovativa serie di Rai 2 “Volevo fare la rockstar” di Matteo Oleotto. Presto, tornerà a teatro per portare in scena il suo spettacolo teatrale “Dio è una signora di mezza età”. Emanuela Grimalda assomiglia alla libertà forte e potente che non ha timore di nulla.
Nella serie tv “Volevo fare la rockstar” interpreti Nadja. Cosa ti ha colpito di questa donna?
Quando ho letto le sceneggiature, ho amato sin da subito questo personaggio. Ho amato la sua libertà interiore, la sua vulnerabilità, le sue complessità, le sue tante sfaccettature. Nadja è stata una donna discontinua che è scappata via dai suoi figli e non ha affrontato le sue responsabilità. Ogni personaggio è una scommessa per un’attrice e Nadja è stato un ruolo particolare da affrontare. Ho voluto, semplicemente, raccontare una madre imperfetta, come tante altre. Ci sono tante donne che trovano difficoltà nel coniugare le proprie aspirazioni con le responsabilità che hanno.
Come hai vissuto questa esperienza?
Sono rimasta affascinata e sorpresa dalla sceneggiatura. Credo sia molto importante trovare una sceneggiatura intelligente, complessa, mai banale. Il regista Matteo Oleotto è stato molto attento e ha creato una grande sintonia tra di noi. Con il suo lavoro e con le sue idee chiare, ha dato ascolto ad ognuno di noi. È stato molto prezioso il suo modo di prendersi cura della sensibilità di ogni attore, presente all’interno della storia. C’è stato un incontro fortunato tra tutti noi ed è stato un piacere stare insieme. In questa serie c’è un sapore diverso, che avverto molto.
Perché hai scelto di raccontare un personaggio del genere, adesso?
Noi attori siamo legati ai personaggi che incontriamo, ai ruoli che ci vengono dati, alla forza e alla fortuna che abbiamo di conquistarceli. Ho amato ogni personaggio che ho interpretato. In questo momento della mia carriera, avevo bisogno di raccontare una donna come Nadja. Avevo voglia di un racconto diverso. Io sono tante cose e ho voglia di raccontarmi attraverso tante sfaccettature. Dopo il personaggio di Ave Battiston in “Un medico in famiglia”, che mi ha dato tanto amore e affetto, era difficile trovare un personaggio che potesse darmi la possibilità di lavorare bene come attrice e di affrontare qualcosa di nuovo.
Alle spalle hai una grande e lunga carriera, in che modo si descriverebbe Emanuela Grimalda come attrice?
Sento di essere un’attrice che si è messa molto in gioco. Senza paura, ho affrontato ogni ruolo. Non ho paura di trasformarmi, di ingrassare o dimagrire. Non ho paura di niente, nel mio lavoro. Sono molto istintiva e vivo del mio mestiere. Ogni scelta che ho fatto nella mia carriera, l’ho fatta cercando di fare delle cose che fossero una scommessa per me. Voglio potermi dire, alla fine della giornata, che tutte le cose che ho fatto nel mio lavoro, le ho fatte sempre al massimo delle mie possibilità.
Nei prossimi mesi porterai a teatro, ancora una volta, il tuo spettacolo “Dio è una signora di mezza età”. Da dove nasce l’idea di un Dio che ha il volto di una donna?
Una decina di anni fa, ho immaginato come sarebbe stato il mondo se Dio fosse stato una donna. L’intento è quello di far riflettere, sorridendo. Credo che, con il sorriso, puoi dire tante cose. In questo spettacolo, volevo parlare delle donne che assomigliano ad un Dio ma a volte non se ne rendono conto, fanno fatica a crederci. Un Dio- donna sarebbe un Dio insicuro e imperfetto, un Dio che corre, che trova un asilo nido per i propri bambini. Racconto di un Dio che crea i pianeti ma anche i tiramisù. Attraverso questo progetto, posso parlare di ogni cosa. La scrittura è molto importante, per me. Mi sento molto libera quando scrivo progetti del genere. Fare l’attrice mi ha dato la possibilità anche di lavorare attraverso la scrittura.
Quale pensi sia stato il regalo più bello che il tuo mestiere è riuscito a farti?
Il mio lavoro mi ha insegnato ad avere molto rispetto per gli altri. Quando reciti, entri in sintonia con le persone. Il teatro, per esempio, è qualcosa di formativo e non solo un intrattenimento. Essere empatici, in questo mestiere, è fondamentale. La recitazione è un’emozione viva, un dare e ricevere, qualcosa che provi e basta. Questo mestiere mi fa sentire vicina alle persone. In questa società, tendiamo ad essere persone lontane ma l’arte, come il teatro, può renderci molto vicini.
Il teatro è un modo per stare insieme. Sono orgogliosa e felice di fare progetti in tv perché ho la possibilità e la grande responsabilità di entrare nelle case delle persone. Attraverso la vicinanza, scopriamo quanto siamo simili, molto meno nemici di quanto pensiamo. Quando si sta insieme, si capisce che non si è soli. Nel momento in cui comprendi di non essere solo, sei più forte nell’affrontare la tua vita.
Che significato dai alla parola libertà e in cosa la identifichi?
Abbiamo tutti paura della libertà. La libertà è qualcosa che ci spaventa. Tendiamo ad affezionarci alle nostre gabbie dorate. Essere liberi è un punto d’arrivo. Credo che la libertà sia qualcosa di molto grande da raccontare. Nei momenti di grazia, nella recitazione, mi sono sentita più libera. La libertà della recitazione mi ha fatto perseverare nel corso del tempo contro il mio carattere, contro le batoste di un mestiere difficile. La recitazione mi ha fatto resistere e mi ha permesso di sentirmi libera come essere umano. Soprattutto quando porto in scena le cose che scrivo e che posso dire, mi sento libera con le persone. Ci vuole molto coraggio per essere liberi.