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Vestiaire Collective banna 30 brand fast fashion per ridurre l’impatto ambientale

Vestiaire Collective, app di moda lusso di seconda mano, ha messo al bando 30 brand di fast fashion dalla sua piattaforma per fare acquisti più consapevoli

La piattaforma per la vendita di abbigliamento e accessori di seconda mano Vestiaire Collective è tornata a combattere il fast fashion. Ad una settimana dal Black Friday, l’azienda ha eliminato dal proprio sito circa 30 brand di brand di fast fashion impedendone il futuro accesso, come aveva già fatto nel 2022. Un’iniziativa per diminuire gli sprechi della moda.

Il brand ha stanziato un piano di tre anni atto a contrastare le pratiche non sostenibili nella moda. Il progetto include la co-lab con The Or Foundation, che lavora per sensibilizzare le persone su problemi come le discariche di vestiti in Ghana. E il coinvolgimento di entrambe le società per trovare soluzioni pratiche e tangibili al problema. Accendendo dibattiti con il Parlamento Europeo e indirizzando i clienti verso il riciclo e l’upcycling. «Vogliamo raggiungere il nostro obiettivo Zero Fast Fashion entro il Black Friday 2024», ha dichiarato l’azienda sul proprio sito.

I brand fast fashion vietati da Vestiaire Collective

Le iniziative per la sostenibilità non si fermano qui. In passato, la piattaforma ha promosso il progetto di Chloé per la tracciabilità dei capi. Inoltre ha collaborato con Burberry per promuovere la circolarità, e da anni fornisce agli insider del settore dati essenziali sullo stato della moda second-hand. L‘app di moda lusso aveva già bandito alcuni brand di fast fashion dalla propria piattaforma nel 2022.

Vestiaire Collective banna 30 brand fast fashion

E da allora, ha spiegato l’azienda, «il 70% dei membri colpiti dal divieto sono tornati sulla piattaforma per acquistare articoli di qualità migliore». I brand bannati da Vestiaire Collective a partire da oggi includono Gap, Zara, Urban Outfitters, Uniqlo, Mango, Benetton, Bershka, Oysho e H&M, mentre nel 2022 erano stati eliminati Boohoo, Pretty Little Thing, Asos e Shein. L’interdizione fa discutere. Ma con l’accelerazione della crisi climatica e i novantadue milioni di tonnellate di rifiuti tessili gettati ogni anno, si tratta di un’iniziativa necessaria. Proprio per ridurre l’impatto ambientale e sociale della moda.

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