È stata presentata a Roma la quarantesima edizione del Torino Film Festival che si svolgerà dal 25 novembre al 3 dicembre sotto l’egida del Museo Nazionale del Cinema – presieduto da Enzo Ghigo e diretto da Domenico De Gaetano. La direzione artistica è di Steve Della Casa, che torna a dirigere la manifestazione a distanza di vent’anni.
L’edizione 40 del Torino Film Festival segna il ritorno in sala del pubblico. Per coinvolgere la città, si è quindi deciso di accogliere parte della manifestazione a Casa Festival, una cittadella del cinema aperta al pubblico e situata nel suggestivo scenario della Cavallerizza Reale nel centro di Torino.
Tanti saranno gli ospiti che verranno a Torino non per frequentare tappeti rossi, ma per parlare di cinema. Quello che fanno o quello che amano.
Torino Film Festival 40, gli ospiti internazionali
Da Malcolm McDowell – che festeggerà a Torino i 50 anni di “Arancia meccanica” e riceverà dal Museo Nazionale del Cinema la Stella della Mole – a Paola Cortellesi, da Toni Servillo a Mario Martone, da Stefano Bollani a Valentina Cenni, da Paolo Sorrentino a Sergio Castellitto, da Michele Placido a Noemi, da Francesco De Gregori a Marco D’Amore, da Marina Cicogna a Simona Ventura, da Vittorio Sgarbi a Morgan, da Gianluca Vialli a Roberto Mancini, da Louis Mandoki a Lamberto Bava.
Lo spirito del Festival è nelle parole stesse del direttore artistico Steve Della Casa: «Abbiamo lavorato per fare un festival pluralista che mette insieme diverse sensibilità. Un festival che vuole essere una festa. Il Torino Film Festival» – continua Steve Della Casa in conferenza – «ha una caratteristica che lo rende unico nel panorama dei festival italiani: è un festival metropolitano, all’interno del quale sono sicuramente presenti gli addetti ai lavori ma il cui nucleo maggioritario di pubblico è costituito da giovani, da appassionati, da persone che vivono il cinema come un formidabile strumento di cultura ma anche di socialità. Il Torino Film Festival numero 40 si appresta ad essere un festival colto ma popolare, di ricerca ma divertente».
“Il Cristo in gola” di Antonio Rezza apre il Torino Film Festival 40
Vision che è già nel film di apertura del festival: “Il Cristo in gola”, il nuovo film di Antonio Rezza, che verrà proiettato in Selezione Ufficiale Fuori Concorso venerdì 25 novembre alle ore 21.30 nel Multisala Cinema Massimo di Torino.
Per la prima volta nella sua storia la serata inaugurale del Torino Film Festival sarà trasmessa in diretta su Rai Radio3, all’interno dello storico programma Hollywood Party che da trent’anni racconta il cinema alla radio, e sarà poi disponibile su RayPlaySound. Il Torino Film Festival numero 40 sarà quindi una finestra sul un’industria che rappresenta un settore sano dell’economia italiana.
Tre domande a Steve Della Casa
Quanto è fondata la lamentela diffusa della crisi delle sceneggiature che si ripercuote sulle sale?
Le sceneggiature sono importanti – risponde Steve della Casa – ma non sono tutto. Oggi c’è un po’ la tirannia delle sceneggiature. Secondo me bisogna lavorare sulle immagini. Infatti l’immagine del festival l’abbiamo affidata a un artista visionario. Credo che tutto ciò che è visivo, quando si parla di cinema, va valutato con maggiore importanza rispetto a come viene valutato adesso.
Il Torino Film Festival lascia molto spazio ai documentari, un settore che secondo il rapporto Apa presentato al Mia di Roma è in crescita. È un modo per supplire alla carenza di film di qualità?
I documentari suppliscono alla mancanza di film, ma soprattutto alla scarsità della televisione. Molo spesso il documentario riesce ad essere più creativo nel raccontare le storie vere, di uno speciale televisivo, di un talk show o programmi simili. Credo che il successo dei documentari in questo periodo sia dovuto a questo fattore.
C’è una sezione dedicata ai film restaurati. Negli ultimi decenni del secolo scorso il cinema d’essai era sinonimo di film vecchi. Oggi è un modo per salvare la sala o per conoscere la storia di un’arte che ormai ha tanto passato da rivedere?
Il cinema restaurato è intanto un modo per impedire che un’opera d’arte venga distrutta dalle ingiurie del tempo. Credo, poi, sia una maniera per capire che il cinema è un’arte strabica: che guarda al futuro, ma deve guardare anche al passato. È un ragionamento dal quale non si possiamo prescindere quando si parla di cinema. Mescolare insieme passato e futuro è tipico di quest’arte. Pensa a Tarantino. Ha preso vecchi film e li ha rifatti in maniera moderna: uno spesso li vede senza neanche sapere che sono rifacimenti. Ma se lo sa e va a vedersi anche Django di Corbucci, si diverte due volte.