“Jazz Set”, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2022 nell’ambito della rassegna Free Style, diretto da Steve Della Casa e Caterina Taricano, è un bellissimo docufilm che apre a tutti quelle porte che alcuni vorrebbero accessibili solo a pochi
La Festa del Cinema di Roma ha anche un’anima jazz. Perché “Jazz è un modo di vivere, di pensare, di ascoltare, di suonare. Non lo impari nelle scuole. Devi nascere jazz”. Così Lino Patruno, ospite d’eccezione di “Jazz Set”, un lungometraggio dedicato all’incontro tra la musica cantautorale italiana e il jazz, per mostrare cosa può succedere a una canzone popolare, riletta dal linguaggio jazz.
“Il jazz non è un genere lontano dall’Italia, come comunemente si crede. Anzi. Il jazz è stato inventato dai siciliani”. Inizia così, con il racconto di Patruno in “Jazz set”, che ne dà una spiegazione originale e completamente diversa da quella da sempre raccontata.
“Jazz set”, un tributo all’anima jazz della canzone italiana
Ancora Patruno ci accompagna nel corso del film, con la sua cultura, sensibilità e intelligenza, svelandoci segreti e illuminando di una nuova luce la nostra idea di jazz, mentre alcuni dei più importanti musicisti del nostro Paese eseguono canzoni dei cantautori italiani. Fabrizio Bosso, Fabio Massimo Colasanti, Roberto D’Aquino, Alfredo Golino, Massimo Moriconi, Simone Salza, Elisabetta Serio, Arturo Valiante danno vita a un tributo appassionato alla nostra canzone, facendoci scoprire mondi nuovi e nuovi modi di leggere le musiche di Mina, Lucio Dalla, Pino Daniele a altri.
La regia di Steve Della Casa e Caterina Taricano racconta brillantemente non come nasce il jazz, ma come emerge l’anima jazz da ogni strumento, da ogni musicista. Anche da singole canzoni che il mondo jazz elitario vorrebbe tenere fuori da una musica che non è vero sia per pochi.
Da questo lungometraggio è nato il gruppo musicale Jazz Set, composto dagli stessi musicisti che vi hanno partecipato e che nel 2023 vedremo in tournée, per poter assaporare dal vivo gli stessi brani raccontati nel film.
Intervista ai registi Steve Della Casa e Caterina Taricano
Perché un altro lungometraggio sul jazz?
Steve Della Casa: L’idea nasce da Fabio Massimo Colasanti che ha messo insieme la band, composta da artisti che non avevano mai fatto un progetto insieme. L’idea diversa era quella di prendere le musiche di grandi cantautori ed eseguirle senza le parole. Fabio Massimo ci ha chiesto come potevano rendere in immagini questo progetto. Ho reputato opportuno, allora, partire dal backstage, riprenderli anche mentre provano, mentre incidono. Sono state riprese varie sessioni e poi l’idea, oltre al film, ha dato vita anche a un album e a una serie di concerti.
Caterina Taricano: È nata una band. I musicisti che hanno preso parte a questo bellissimo esperimento, suoneranno ancora insieme portando questo spettacolo in tournée. Siamo stati orgogliosi di far parte della nascita, di far parte della storia della musica in qualche modo.
Siamo abituati a sentir dire “è rock”, ma non a dire “è jazz”. In Italia poi, il jazz è considerato una musica per intellettuali. Loro, invece, jazzano musiche pop…
Caterina Taricano: Quello che noi volevamo sottolineare è che il jazz non è uno spazio d’élite, come si pensa. Un tempo era la musica di quelli che volevano andare a ballare, volevano vivere. Questo lo racconta Lino Patruno che è la nostra guida, il nostro Virgilio, in “Jazz set” e lui rappresenta il jazz non solo perché ne ha suonato tanto, ma perché lui è jazz. Lino Patruno, se guardiamo la sua carriera, è un artista che non ha mai avuto paura di contaminarsi, anzi ha sempre avuto un profondo desiderio di legarsi a un’altra forma di spettacolo. È lui che insieme a Nanni Svampa e ai Gufi (gruppo musicale italiano, dialettale milanese e cabarettistico, attivo dal 1964 al 1969 – nda), ha portato in Italia il cabaret francese, ha fatto il regista, l’attore, ha scritto. Quello è essere jazz. E noi, nel nostro film, abbiamo voluto riproporre questo modo di essere jazz. Abbiamo abbozzato una sceneggiatura, ma poi abbiamo detto vediamo cosa accade. In realtà, poi, il lavoro più grande è stato al montaggio, sulla base di quello che era accaduto durante le prove, le sessioni, gli scambi che abbiamo visto accadere tra di loro durante le riprese.
Quindi anche la vostra regia è jazz…
Steve Della Casa: La regia jazz è una regia senza sceneggiatura. La differenza tra il jazz e il rock è proprio lì. Che il rock è scritto in ogni suo dettaglio, il jazz, invece, lascia spazio alla libera interpretazione. Come regista, non amo molto scrivere sceneggiature: mi piace più il cinema della Nouvelle Vague dove, da Rossellini in poi, si inventavano delle cose mentre erano sul set, captando il sentimento del momento. Ecco perché mi piace questa idea che il film abbia una regia jazz.
Il mondo del jazz, almeno quello italiano, un po’ chiuso, rimarrà scosso dal vostro lavoro?
Caterina Taricano: Il realtà speriamo di andare contro anche un altro pregiudizio: che nella musica dei cantautori il testo sia l’unica cosa che conta. Non è così. La cosa interessante è stata vedere come canzoni molto conosciute, patrimonio culturale di tutti, si trasformavano durante la reinterpretazione che ne hanno fatto i nostri musicisti, restando ugualmente emozionanti.
Il gatto degli Aristogatti di Disney cantava “tutti quanti posson fare jazz”…
Sì e si può fare jazz con tanti brani di musiche diverse.
Due domande a Lino Patruno
Lino Patruno è il jazzista di fama internazionale che guida lo spettatore in questo appassionante viaggio nel jazz italiano.
Perché il jazz è considerato per pochi?
Lino Patruno: Perché è musica intelligente per persone di cultura. Il popolo italiano non è un popolo colto. È un popolo tremendamente ignorante che ascolta Sanremo.
Ma con questo bellissimo docufilm, Steve Della Casa e Caterina Taricano aprono le porte del jazz a tutti, sfatando un mito un po’ snob…
Lino Patruno: Purtroppo la gente non capisce la musica. È questo il problema. Spero che il loro lavoro avvicini al jazz un pubblico più vasto.