Come disse una volta un suo fan: «Gli Stati Uniti hanno avuto 46 Presidenti ma un solo, unico, formidabile re: Elvis Presley»
È uscito due giorni fa, ed ha raggiunto subito la vetta del box office il biopic su Elvis Presley. Certo si parla di musica ed in particolare di rock and roll, di un giovane uomo venuto dalla dimenticata cittadina di Tupelo, Mississippi, mezzo bianco per DNA familiare e mezzo nero per aver fatto proprie le sonorità gospel e blues che permeavano il profondo Sud dell’America segregazionista degli anni ’50.
Ma si parla anche di un semidio, dalla voce unica, dalle movenze incomparabili. Un artista che, a tutt’oggi, detiene il record di dischi venduti da un cantante solista.
Elvis, recensione del film di Baz Luhrmann
Tutto questo è “Elvis”, dell’australiano Baz Luhrmann, che ci restituisce in tutto il suo splendore la vita mitologica del “King of rock’n’roll”, magistralmente interpretato da Austin Butler, e di tutto il circo che lo accompagnava. A partire dal grande imbonitore, quel colonnello Tom Parker, interpretato da un grandissimo Tom Hanks, quasi un moderno “Mangiafuoco” che trovò la sua gallina dalle uova d’oro.
Il film si svolge in un continuo susseguirsi di splendide canzoni, spiega le origini del talento di Elvis, e ci restituisce il mistero ancora irrisolto del miracolo di un uomo che sembrava arrivato da un’altra dimensione per riempire di gioia il cuore dei suoi fans.
Così capiamo le scene d’isteria collettiva che si verificavano sempre durante i suoi concerti. Così arriviamo a comprendere anche la fragilità di un uomo che nacque per donare amore e che da quello stesso amore venne forse travolto, fino a morire prematuramente all’età di 42 anni per abuso di farmaci e alcool.
Splendido, generoso Elvis. Splendido il film che ci permette di capire l’uomo dietro il personaggio. Eccezionale l’interpretazione di Butler che deve aver sudato non poco per riuscire a renderci così vivide le sue espressioni, la sua formidabile fisicità. Bellissimi i look del film, creati da Miuccia Prada partendo dallo studio delle fonti degli abiti di Elvis e Priscilla e personalizzati dalla stilista rivisitando capi dagli archivi di Prada e Miu Miu.
«Brucia prima la candela che brucia da entrambi i lati», ha cantato Ligabue nel suo pezzo “Un figlio di nome Elvis”. Doveva andare così, e così è andata.