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“Parigi, 13 Arr.”, il film di Jacques Audiard è una finestra sul mondo dei Millennial

Dopo aver conquistato il pubblico e la critica dell’ultimo Festival di Cannes, arriva nelle sale italiane il 24 marzo 2022 “Parigi, 13Arr.” diretto da Jacques Audiard

Vite parallele che per puro caso si incrociano nel 13° Arrondissement di Parigi, storie fluide raccontate in maniera veloce, superficiale, in un passaggio continuo da un’immagine all’altra. È “Parigi, 13 Arr.” di Jacques Audiard, presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes.

Considerato uno dei registi e sceneggiatori francesi più talentuosi, Jacques Audiard è già vincitore di una Palma d’Oro e un Gran Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes, due Premi César, un Leone d’Argento a Venezia e due BAFTA. Candidato in 5 categorie ai prossimi Premi César (attrice e attore rivelazione, sceneggiatura non originale, fotografia e colonna sonora), “Parigi, 13 Arr.” sarà distribuito in Italia da Europictures a partire dal 24 marzo 2022.

"Parigi 13 Arr.", recensione del film di Jacques Audiard

“Parigi, 13 Arr.”, la sinossi del film di Jacques Audiard

Parigi, 13 Arr. Oggi. Emilie incontra Camille, che è attratto da Nora, che incrocia il cammino di Amber. Tre ragazze e un ragazzo ridefiniscono l’amore moderno.

Il film, adattamento della graphic novel “Killing and Dying” di Adrian Tomine, edito in Italia da Rizzoli con il titolo “Morire in piedi”, racconta una moderna storia di amore e amicizia, giovinezza e sessualità, filmata in un sontuoso bianco e nero. Quattro vite con i rispettivi interrogativi esistenziali, quattro destini che si intrecciano sullo sfondo dei grattacieli parigini di “Les Olympiades”, quartiere nel 13° Arrondissement. A vestire i panni dei giovani protagonisti, Lucie Zhang (“Happy Night”), Makita Samba (“The bunker game”), Noémie Merlant (“Ritratto della giovane in fiamme”) e Jehnny Beth (frontwoman delle Savages).

La recensione

“Parigi, 13 Arr.” non approfondisce nessun personaggio, non dispensa alcuna analisi psicologica, o lezione di morale. Solo uno sguardo apparentemente oggettivo su una società alienata. E lo sguardo è quello che si concretizza attraverso la splendida fotografia di Paul Guilhaume, che spesso ha il sopravvento sui dialoghi, che arriva a sostituirli quando questi mancano.

"Parigi 13 Arr.", recensione del film di Jacques Audiard
Photo Credits: Shanna Besson©

Le relazioni interpersonali tra familiari, tra amanti, amici, colleghi di lavoro, sono descritte con un rapido tratteggio.

I temi affrontati passano veloci davanti ai nostri occhi: sesso in chat, bullismo, lavoro precario per giovani laureati, app di incontri, relazioni, amori liquidi, identità di genere, desiderio sessuale, ricerca di sé. Senza essere indagati, scorrono come le immagini scrollate su un cellulare. Anche la morte resta solo contingente, in uno scenario scandito dai tempi veloci di un social e dalla comunicazione sincopata di una chat. Audiard riesce a raccontare la morte senza riprenderla: quella della madre di Camille (Makita Samba) e quella della nonna di Emilie (Lucie Zhang). E neanche la morte suscita emozioni profonde: è solo un fatto tra tanti.

"Parigi 13 Arr.", recensione del film di Jacques Audiard
Photo Credits: Shanna Besson©

Non c’è tenerezza, non ci sono sentimenti, i personaggi non suscitano empatia. Una narrazione per immagini che, nell’era del digitale, non riesce a colmare il vuoto del non detto. 

“Parigi, 13 Arr.” parla d’amore senza la tipica storia d’amore di qualsivoglia genere, rispecchiando un modo contemporaneo di vivere le relazioni tra giovani non più adolescenti. Di ragazzi laureati che lavorano senza passione per avere i soldi per pagare le spese, nessun ideale, insoddisfatti, più disillusi che realisti. Di un mondo che vede sovvertito il paradigma delle relazioni amorose, dove “prima si scopa e poi ci si conosce”.

Giovani donne e giovani uomini che oscillano nella fragilità quotidiana come la fotografia del film, che spazia dalle riprese dall’alto alle scene in primissimo piano, dai grattacieli ai campi strettissimi sulle scene di sesso, dagli anonimi call center all’interno delle case. Scene slegate tra loro che attraversiamo nel tempo di un click.

"Parigi 13 Arr.", recensione del film di Jacques Audiard
Photo Credits: Shanna Besson©

La pellicola è girata in bianco e nero, come l’atteggiamento mentale di un’intera generazione; bianco e nero, senza colore, come gli amori consumati nel tempo di un incontro durante l’orario di lavoro. Eppure è proprio questa assenza di colori, questa infinità di sfumature di grigio che restituisce lo spessore della vita contemporanea: un bianco e nero che esalta i corpi nudi intrecciati di Camille ed Emilie, di Camille e Nora (Noémie Merlant). Il bianco e nero di una periferia parigina, fatta di anonimi grattacieli, non dissimile dagli scenari della novel grafic newyorkese di Adriane Tomine a cui il film si ispira. Il bianco e nero di una Parigi multietnica, dove essere tutti francesi è una realtà acquisita.

"Parigi 13 Arr.", recensione del film di Jacques Audiard
Photo Credits: Shanna Besson©

La Parigi di Audiard è una città slegata dall’immagine che ne abbiamo sempre avuto. Manca qualsiasi riferimento alla Ville Lumiére: il 13 arr. ci arriva come un luogo slegato dalla città, come lo sono i personaggi. 

“Parigi, 13 Arr.” è una finestra che si apre all’improvviso sui Millennial. Ma a quella finestra è affacciato un boomer e noi li vediamo attraverso i suoi occhi. Sono davvero una generazione così bianca e nera? Sono davvero così slegati dall’ambiente? Davvero il loro mondo è solo quello digitale, quello virtuale? Audiard non lascia spunti di riflessione. Solo un lieto fine lasciato là.

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