È il 14 febbraio 2004: allo Stadio Olympico di Radès si gioca una partita destinata a entrare nella storia. Si tratta della finale della prestigiosa Coppa d’Africa, contesa tra Tunisia e Marocco. La spunterà la prima squadra: Le Aquile di Cartagine batteranno i Leoni dell’Atlas per 2 a 1.
Il cortometraggio Les Aigles De Carthage di Adriano Valerio dedicato a quello storico evento calcistico apre la 35esima Settimana Internazionale della Critica (sezione SIC@SIC Short Italian Cinema). È una produzione Full Dawa Films in co-produzione con Sayonara Film, APA, French Lab Agency, Les Cigognes Films e distribuito in Italia da Elenfant Distribution.
Intervista ad Adriano Valerio
Già vincitore del David di Donatello e del Premio Speciale Nastro d’Argento (nel 2014) col corto 37°4S, Adriano Valerio non è nuovo alla Mostra del Cinema di Venezia. Il cortometraggio Mon Amour Mon Ami è stato presentato nella sezione Orizzonti nel 2017, così come due anni prima il lungometraggio Banat – il viaggio, durante la Settimana della Critica.
Ha diretto anche due episodi della serie tv Non Uccidere 2, prodotta da Freemantle e RAI Fiction.
Come hai scoperto questa partita?
Inizialmente mi era stata proposta una mostra collettiva interdisciplinare con diversi artisti: ciascuno avrebbe dovuto realizzare un’opera su un Paese del Mediterraneo. A me era stata assegnata la Tunisia, nello specifico l’Anfiteatro romano di El Jem. Dovendo fare qualcosa di videoarte avevo pensato di portare il calcio in quel luogo antico, di proiettare quella partita e filmare i volti delle persone che rivivevano quell’emozione a distanza di anni. Il progetto è naufragato per mancanza di fondi, ma ormai mi ero appassionato alla storia e ho continuato ad approfondire, arrivando dalla videoinstallazione al documentario.
Il documentario fa emergere una tripla valenza del calcio: quella sportiva, quella culturale e quella politica. Registicamente che scelte hai fatto, per concentrare tutto in 10 minuti?
Come per la fiction, anche per il documentario la fase di casting, la scelta dei personaggi (non degli attori) è essenziale. Io li ho cercati eterogenei, ho cercato persone che fossero ancora genuinamente e onestamente toccate da quella partita. Sapevo che uno, essendo ultrà sfegatato, avrebbe portato il discorso sulla passione per il calcio; un altro essendo antropologo sapevo che avrebbe virato sul sociale e sul politico. E così via. Una volta individuate le persone giuste il discorso si è sviluppato in modo naturale.
L’immagine in cui il dittatore tocca la coppa è molto forte. Come l’hanno vissuta i tunisini?
In quel momento Ben Ali aveva un consenso altissimo, c’era ancora paura di contestarlo. Le persone percepivano questa forma di appropriazione, ma soprattutto si sentivano protagoniste di quella vittoria. Si sono riunite per la prima volta nella storia della Tunisia sotto una bandiera, ma non per una parata o per celebrare un dittatore. Stavano celebrando loro stessi e il loro Paese. E in quelle piazze, ma soprattutto nelle curve degli stadi, hanno percepito la loro forza. Quel sentimento ha aiutato il popolo tunisino ad avvicinarsi alla rivoluzione del 2011.
Qual è il potere del calcio a livello sociale invece?
Citando Pasolini il calcio è anche rito e cerimonia e io credo molto nella condivisione di riti e cerimonie all’interno della famiglia, in un lignaggio parentale, nella trasmissione padre-figlio. Non a caso il film è dedicato a Sandro e Carlo, mio padre e mio figlio. È semplice: una partita di calcio, banalmente, è un’occasione per ritrovarsi con amici, con un figlio, col proprio padre e avere un momento di condivisione. È un pretesto alla fine. Ma è anche un modo per intavolare un discorso con le persone. Il calcio è uno sport popolare, un modo di ritrovarsi.
Uno degli intervistati parla del concetto di eredità legato al calcio: non solo il padre che “indirizza” il figlio verso la propria squadra del cuore, ma che gli trasmette i suoi racconti e ricordi. Nella tua famiglia che rapporto c’è col calcio?
Quello è l’unico personaggio “fittizio” del documentario, che ho inserito in scrittura perché quel personaggio sono fondamentalmente io. Mio padre era un grande tifoso dell’Inter e io conosco a memoria tutta la storia della squadra degli anni Cinquanta e Sessanta, anche se non ero ancora nato.
Cosa rappresenta il calcio nella storia della Tunisia?
La vittoria è percepita come riscatto sociale. Io sono appassionato di Coppa d’Africa: quando una squadra vince non è come quando in Italia si vince contro la Germania. In quel momento il tuo Paese, che talvolta ha grossi problemi economici e politici, per una sera è il Re dell’Africa e tu sei il Re della comunità africana. Per questo è stato un momento di riscatto anche per i tunisini all’estero. La Tunisia tra l’altro è un Paese che ha vissuto una forte diaspora, per questo ci tenevo a inserire anche un personaggio che ha vissuto questo momento da fuori, nello specifico da Marsiglia.
Les Aigles De Carthage di Adriano Valerio
Les Aigles De Carthage di Adriano Valerio è un omaggio alla rivoluzione tunisina, che tanto deve a quella vittoria secondo i critici. Il focus del regista, infatti, non è solo quello prettamente sportivo: si concentra anche sulla valenza sociale e culturale del gioco del calcio, nonché sulle sue ricadute politiche.
L’immagine del dittatore Ben Ali che stringe la Coppa d’Africa è emblematica per questo: è la politica che si insinua con prepotenza, che vuole sfruttare a proprio vantaggio la vittoria come trionfo personale.
Il calendario
- Giovedì 3 settembre
ore 14:00 – Sala Perla – Proiezione Ufficiale
- Venerdì 4 settembre
ore 19:30 – Cinema Astra 1
ore 19:45 – Cinema Astra 2
Il trailer