La vergogna è il sentimento che spesso si insinua nelle vittime di abusi sessuali. E proprio con l’hashtag #stoptheshame quattro anni fa Netflix aveva presentato il documentario Audrie e Daisy, con l’intento di creare una rete di supporto tra vittime di stupri, costrette in molti casi a subire anche un clima di diffidenza e sospetto dalla comunità, invece di essere aiutate, protette e sostenute.
Proprio questa era la storia di Daisy Coleman, protagonista del documentario Audrie e Daisy insieme a Audrie Pott. Il film, diretto da Bonni Cohen e Jon Shenk, era stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2016. Ancora è disponibile nel catalogo della piattaforma.
La storia di Daisy Coleman
Daisy Coleman all’età di 14 anni aveva subito uno stupro, nel corso di una festa a Maryville (Montana). Lo aveva raccontato in un documentario Netflix dal titolo Audrie e Daisy, in cui si soffermava soprattutto sugli episodi di bullismo subiti dopo quell’episodio, sulle vessazioni della comunità, della scuola, della rete, che non stavano dalla sua parte.
Per il crimine subito nel gennaio del 2012 mai nessuno era stato condannato: ulteriore duro colpo da digerire per la ragazza, che non ce l’ha fatta più a sopportare questo peso e si è tolta la vita.
La stessa decisione l’aveva presa anche Audrie Pott, che si era suicidata 10 giorni dopo essere stata violentata a Saratoga (California), nel settembre 2012.
Daisy stava dedicando la sua vita agli adolescenti vittime di violenza che però non trovano il coraggio di denunciare, perché inseriti in un sistema loro ostile. Aveva anche fondato un’associazione, la SafeBAE, per sostenerli e aiutarli anche nel percorso di convivenza col trauma, per gestirne le conseguenze psicologiche.
L’annuncio della madre
Melinda Coleman, madre della 23enne, ha annunciato la morte della figlia con un post su Facebook.
«Lei era la mia migliore amica e una figlia fantastica. Non si è mai ripresa da quello che quei ragazzi le hanno fatto e non è giusto. La mia bambina non c’è più. Forse le ho fatto credere che avrei potuto vivere senza di lei, ma non è così. Avrei voluto farmi carico io del suo dolore».