Il dott. Stefano Callipo è psicologo e psicoterapeuta. È spesso ospite nelle più note trasmissioni televisive della Rai (Uno Mattina, Estate in Diretta e La Vita in Diretta, Storie Italiane), Mediaset (Mattino 5) e La7.
Dopo tante settimane trascorse in casa a causa delle restrizioni imposte al lockdown, finalmente dopo il 18 maggio siamo tornati a poter uscire. Eppure sono tanti gli Italiani che, nella Fase 2, hanno difficoltà a tornare a vivere. Psicologi e psicoterapeuti hanno dato un nome a questa tendenza a non uscire: la sindrome della capanna. Ce ne parla il dottor Stefano Callipo. Se avete domande per lui, potete contattarlo scrivendo a: [email protected].
Rimanere a lungo tempo chiusi dentro casa in tempo di Covid19 non è stato facile per gran parte di noi. Le nostre abitudini sono state in breve tempo stravolte e ci siamo sentiti minacciati da un nemico invisibile, il virus. La campagna di informazioni che ha quasi monopolizzato i telegiornali e i talk televisivi nella prima fase ci ha fatto passare il messaggio che soltanto dentro le mura domestiche possiamo sentirci al sicuro.
Alcuni di noi hanno quindi visto le mura domestiche come una prigione e molti invece come un rifugio, nonostante il legittimo desiderio di uscire fosse forte. Ora siamo entrati finalmente nella cosiddetta Fase 2, caratterizzata da un deciso allentamento delle misure restrittive che ci permettono di uscire liberamente da casa. Dovremmo essere quindi felici di uscire. Invece a volte scopriamo che le prime uscite anziché farci stare bene ci producono uno stato di ansia, una sorta di paura o difficoltà di uscire. Come è possibile che ciò avvenga?
Serve gradualità, come quando dal buio ci si adatta alla luce
Certo che, se da una parte rimanere a lungo in casa può averci transitoriamente indebolito psicologicamente, è pur vero che la voglia di tornare a vivere dovrebbe costituire il motore propulsivo per “rinascere”. In realtà avviene qualcosa di simile quando da un ambiente luminoso entriamo in una stanza buia. Abbiamo bisogno di tempo per adattarci, ma dopo un po’ bene o male troviamo un equilibrio adattivo.
Quando poi dalla stanza buia usciamo accedendo ad un ambiente luminoso scopriamo che non si ritorna immediatamente come prima. Anche in questo caso abbiamo bisogno di un po’ di tempo per adattarci. La nostra mente può mettere in atto meccanismi simili quando si passa da una condizione di forti restrizioni a quelle di libertà. Non dobbiamo quindi preoccuparci se nelle nostre prime uscite sperimentiamo un senso di insicurezza, paura o ansia nell’uscire, perché serve sempre una certa gradualità nel riprendere a vivere come prima.
Una sindrome che affligge circa un milione di italiani
La sindrome della capanna quindi è un fenomeno nel quale possiamo sperimentare una sensazione di paura, ansia, insicurezza e talvolta anche tristezza nel riprendere ad uscire dopo un lungo periodo di domiciliazione forzata. Tale sindrome sta coinvolgendo un gran numero di soggetti in questa fase di ripresa, può interessare circa un milione di italiani. Non si tratta di un disturbo mentale ma più semplicemente di una condizione riconducibile ad un lungo periodo di isolamento. Tale sindrome può essere rinforzata dalla consapevolezza che il virus è ancora presente, e tale consapevolezza tende a farci sentire più al sicuro tra le mura domestiche.
Da un lato è importante attenerci scrupolosamente a tutti gli accorgimenti preventivi così come ci vengono indicati dai canali ufficiali di informazione. Dall’altro dobbiamo essere sereni, perché le sintomatologie riconducibili alla sindrome della capanna tendenzialmente dovrebbero diminuire diacronicamente fino a sparire con il normalizzarsi della vita sociale. Per rinforzarci a tutto questo dobbiamo imparare ad accogliere le nostre emozioni e sapersi ascoltare, ma soprattutto imparare a prenderci cura di noi stessi anche dal punto di vista psicologico.