Miriam Dalmazio si racconta al nostro magazine in un’intervista che tocca tanti aspetti della sua vita lavorativa e della sua dimensione privata di mamma felice.
Miriam Dalmazio torna a interpretare Giada nella seconda stagione delle serie TV “Il Cacciatore” in onda su Rai2. Il pubblico ha imparato ad amarla grazie ai tanti ruoli di donne, sempre diverse, a cui ha dato il proprio volto. Dopo “Il Cacciatore”, Miriam tornerà anche con la seconda stagione de La Vita Promessa, dove interpreta Rosa, una ragazza madre alla ricerca di un possibile riscatto. Nel 2020, sarà anche al cinema con due grandi film : “Il Mio corpo vi seppellirà”, un western borbonico sul brigantaggio femminile di fine ‘800 e “Diario di un venditore di donne”, tratto dal romanzo di Giorgio Faletti. Attualmente Miriam Dalmazio è impegnata nelle riprese di due serie TV: “Anna“, tratta dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti, e “Leonardo”, dove interpreta Beatrice D’Este.
Passo dopo passo, l’attrice ha intrapreso un percorso intenso e veritiero lungo il quale ha imparato a scoprire dentro di sé nuove sfumature. Il successo lavorativo e la maternità l’hanno resa una donna libera da ogni barriera. Quello che colpisce di quest’artista dal volto senza tempo è la sua riservatezza in un’epoca in cui, troppo spesso, ogni emozione viene condivisa, ostentata e per questo, a volte, sminuita. Miriam sceglie, ogni giorno, di difendere la sua riservatezza in un mondo che sembra averla accantonata.
Torni a interpretare Giada nella seconda stagione de “Il Cacciatore”. Cosa ti lascia questo personaggio, e come lo hai vissuto?
Sono davvero legata a Giada, che ha rappresentato un momento cruciale della mia vita. Quando ho iniziato la prima stagione della serie ero appena diventata madre. La maternità mi ha reso una donna forte, adulta, matura. Mi sono sentita cambiata e questo mi ha permesso di incontrare un personaggio come quello di Giada. Ho rappresentato la sua libertà e la sua auto-realizzazione. C’é stato un grande lavoro dietro la costruzione di questa donna. Accanto a Francesco Montanari, abbiamo lavorato sul set attraverso le nostre sensazioni. Cerco sempre di costruire i miei personaggi anche grazie al legame che si crea con il set, con i registi, con gli attori. Quando arrivi sul set, accade qualcosa di magico e misterioso che ti permette di raccontare la persona che interpreti. Giada ha segnato un cambiamento in me e nella mia carriera.
Quanto è importante realizzare progetti italiani di grande qualità, anche grazie a serie TV di grande rilievo?
L’Italia ha sempre dimostrato grandi cose. La storia cinematografica italiana parla per noi. Abbiamo avuto grandi maestri italiani, e molti registi internazionali come Quentin Tarantino hanno più volte dichiarato di ispirarsi a Sergio Leone, a Federico Fellini. Dobbiamo semplicemente rispolverare la nostra antica arte e riportarla alla realtà di oggi. Diventa importante poter trasmettere quella magia e quel fascino cinematografico di un tempo che oggi sembra un po’ perso. In realtà, abbiamo grandi talenti in Italia e vedo delle grandi menti e dei grandi spiriti creativi. Più che dimostrare di saper fare bene il nostro lavoro, dobbiamo riprenderci il nostro spazio. Tutto ciò si può ottenere con delle belle idee e con delle grandi sceneggiature. Vogliamo delle storie belle che hanno motivo di esistere. Non c’è bisogno di fare cose che passano. È bello raccontare delle storie che lasciano il segno. Definiamo il tempo e lo spazio.
Il cinema italiano ha fatto passi avanti nel raccontare storie di donne?
Siamo in un punto in cui il cinema si sta risvegliando. Non c’è ancora un cambiamento definitivo ma le persone si interrogano sempre più su determinati argomenti, e si inizia a portare una luce sui ruoli femminili che sono sempre stati un po’ in ombra. Mancano le registe, che sono sempre in numero inferiore rispetto ai registi. Ho notato, però, che molti registi stanno cercando di indagare sull’animo femminile per poterlo raccontare nelle loro storie e nelle loro donne. Per esempio, la serie “ Il Cacciatore” è stara scritta da Silvia Ebreul e Marcello Izzo. Silvia ha messo tantissimo del suo mondo femminile all’interno del mio personaggio e ho avvertito tutto ciò quando mi sono approcciata alle sceneggiature e alla storia. Ho sentito l’importanza della donna che raccontavo. Non sento la sfiducia, sento invece che qualcosa sta cambiando intorno a noi.
A quale donna vorresti dar voce, adesso?
Mi piacerebbe dar voce al mio lato “dark”. Sarei entusiasta di affrontare dei personaggi negativi e cattivi. Fino ad ora, ho interpretato donne sempre positive e buone. Gli eroi sono belli perché ti lasciano dei messaggi meravigliosi. Ma i ruoli da cattivi sono quelli che, poi, in qualche modo ricordi sempre. Sai perché mi piacerebbe raccontare una donna negativa o cattiva? Perché approcciandomi ad essa, vorrei non giudicarla. Credo che possa essere interessante non giudicare un personaggio negativo. Il male viene sempre da un trauma, da un graffio nella nostra anima. Non è mai fine a se stesso, ma è qualcosa che ha un motivo ben preciso da scoprire.
Ti piacerebbe affrontare anche una donna fragile, magari attraverso il tema della malattia mentale?
Uno dei miei film preferiti è Frances, con la meravigliosa Jessica Lange. Quel film racconta di un’attrice che viene considerata pazza proprio per il suo amore per la recitazione, ed è rinchiusa. Sarebbe molto profondo indagare sulla malattia mentale, sui trattamenti che di riservano a queste persone così fragili.
Dopo la maternità, quali consapevolezze senti di aver ottenuto come artista?
È come se tutto fosse cominciato da allora. Tutto quello che è successo prima era una preparazione a poter “cominciare”. Prima vedevo tutto nebbioso e non capivo quale fosse la strada. Era tutto senza forma. Ho iniziato a dare forma alle cose, a delinearle e distinguerle. Ho compreso che davo meglio voce ai personaggi rotti, piuttosto che a quelli brillanti. Avere un figlio ti fa sempre da specchio. La maternità é una continua autoanalisi che ho avuto modo di sperimentare anche nel mio lavoro. Nel momento in cui sono diventata madre, ho scoperto ancor di più me stessa. Tutt’ora, lavoro per scoprire sfumature di me.
Il mio lavoro arricchisce la mia vita e porta sempre luce.
Sei molto riservata anche sui social. Che significato ha per te la riservatezza?
Da che ho memoria della mia vita, sono sempre stata molto riservata. Mi sono sempre nascosta. Mi sono sempre voluta tener fuori dai riflettori. È assurdo, vero? Perché poi ho voluto fare un mestiere come quello dell’attrice che mi porta a stare sempre davanti ad una telecamera.
Crescendo, questa mia caratteristica si è accresciuta, anche per quanto riguarda il mio lavoro. Sono un po’ vintage. Sin da bambina, guardavo le grandi attrici del cinema e poi le immaginavo in un angolo della loro casa che leggevano.
Adesso, ogni cosa è fruibile, alla portata di tutti. Ed io non sono così. Ho deciso di cavalcare l’onda della riservatezza. Cerco di portarla anche nel mio lavoro, soprattutto per rispettare questo mestiere. Se le persone sanno troppe cose della mia quotidianità, il loro giudizio sul mio lavoro è quasi influenzato. Mi piace che le persone scoprano cose di me attraverso le donne che interpreto.
Cos’è che ti fa sentire libera?
Ho sempre odiato le dipendenze. Mantengo alta la mia asticella della libertà. Mi fa sentire libera l’idea di poter scegliere, l’idea di poter essere indipendente economicamente da tutti. Credo che queste condizioni, mi permettano di scegliere il mio lavoro. Adesso, mi sento libera ogni giorni quando alimento il mio rapporto con il mio bambino. L’essere mamma è una cosa che mi arricchisce e mi rende flessibile su tante cose della mia vita. Tutto ha un sapore così speciale e diverso. Aver raggiunto due aspetti così importanti come l’indipendenza economica e la scoperta continua della maternità mi hanno resa una donna libera su tutti i fronti.