L’attrice acclamata a Firenze per “Mary said what she said”: “Una vita piena di conflitti”. Il regista farà “Il libro della giungla. “La penso come Anna Frank, le persone in fondo sono buone”
da Il Giornale dello Spettacolo di Stefano Miliani
Dimenticate Isabelle Huppert. Per essere corretti: dimenticate l’attrice francese come l’abbiamo vista e amata in tanti film se invece la vedete come Maria Stuarda in Mary said what she said con luci e regia di Bob Wilson. Lo spettacolo venerdì 11 è andato in prima italiana al Teatro della Pergola di Firenze dove resta fino a domenica 13 alle 15.45. Qui Isabelle Huppert appare trasfigurata, mirabile, di un’intensità allucinata quale chiede il personaggio, una regina nell’ultima notte prima di venire decapitata, in un monologo che è come una partitura musicale, non un racconto in prosa. L’attrice impressiona: sola, sembra incarnare la solitudine profonda di una donna sconfitta, di potere, ma non domata, in una infinità di sfaccettature.
Conoscete gli spettacoli di Bob Wilson? Il regista crea giochi estremamente nitidi e raffinati di luci, di profili netti, fatti di precisione, di gesti e voci dai quali ogni naturalismo è bandito come la peste. Stavolta il regista e artista texano ha impiegato un testo del narratore e drammaturgo afroamericano Darryl Pinckney sulla regina di Scozia e di Francia vissuta dal 1542 al 1587, spedita al patibolo dalla cugina Elisabetta I perché Maria Stuarda era la religione cattolica, la monarca inglese incarnava la chiesa anglicana fresca di nascita, e la religione mieteva vittime oltre che massacri. Il testo è più un poema che prosa. Ludovico Einaudi firma una musica volutamente incalzante: non è una colonna sonora, è personaggio, la musica a tratti ricorda perfino passaggi del rock progressive, possente, variegata, distante da quel tocco minimale al pianoforte per cui il compositore pianista è noto. Su tutto Isabelle Huppert si staglia indelebile e inquietante. Dopo aver raccolto un meritato diluvio di applausi e “brava” il venerdì sera, nel pomeriggio di sabato l’attrice e il regista si sono concessi ai giornalisti.
Huppert: “Maria Stuarda racconta una vita piena di conflitti e amore”
Il conflitto religioso a cui rimanda un passaggio di Mary said what she said non riflette qualcosa che sta accadendo a tutt’oggi? “Sì, in effetti esiste questo problema nel mondo”, risponde Isabelle Huppert e passa ad altro. La domanda non la appassiona. “Ho accettato questo monologo perché volevo fare un altro spettacolo con Bob e il monologo è molto bello, ha una scrittura molto poetica”. Sull’interpretazione vocale, fondata su un declamare ritmico, su vocalizzi, accelerazioni e pause: “Wilson vuole che si usi la voce un po’ come una scultura sonora partendo dal senso preciso delle parole che vede come una partitura musicale”. Ancora: “Non si possono confrontare teatro e cinema, non faccio differenze, in teatro c’è più spazio per l’astrazione”. Con Wilson “non ci sono stati compromessi che nascono da un’opposizione, l’intesa è stata perfetta”. Quanto allo spettacolo, “racconta una vita piena di conflitti e di amore, ho l’impressione che vada oltre la vita di Maria Stuarda”.
Wilson: “Pochissime sanno lavorare come Isabelle”
Senza Isabelle Huppert è difficile immaginare questo Mary said what she said. “Lei è straordinaria – commenta il regista – Con un’altra attrice l’opera cambierebbe. Pochissime sono capaci di lavorare come lavora lei. Non mi ha mai chiesto perché faccio questo? Perché devo accelerare la voce, abbassarla, alzarla? Cosa significa questo gesto? Lavoro molto in Germania dove fare qualcosa senza una ragione è impossibile. Ma io non parto da cause o fatti. Isabelle è eccezionale, può pensare astrattamente”. Prosegue: “Agli attori do indicazioni formali, come si sentono dipende da loro. Nessun regista, compositore o coreografo può dire a qualcuno come sentirsi quando esegue un gesto o un balletto, ma tu percepisci come si sente quel personaggio e questo lo rende speciale”.
Il regista: “Le persone sono buone, la penso come Anna Frank”
Bob Wilson alla domanda se nello spettacolo abbia pensato a Beckett va oltre: “Odio il naturalismo sul palcoscenico, suona così artificiale mentre essere artificiale è più onesto. Sul palcoscenico non cammini come per strada, non stai in piedi come quando aspetti l’autobus. Gli attori del cinema muto accettavano che fosse tutto artificiale e mi pare fossero più onesti con sé stessi. Questo è il collegamento che sento con Beckett”. E sul diverso comportamento tra pubblico italiano e francese rilascia una sorta di dichiarazione di ottimismo sul genere umano: “Il pubblico italiano e quello olandese parlano molto, in Giappone non dicono una parola, ma non è mancanza di rispetto, è la natura, le emozioni vere, profonde sono più o meno le stesse. Mi piace una frase di Anna Frank: penso che in fondo al cuore le persone siano fondamentalmente buone”.
Bob Wilson: “Pensiamo ai bambini”. E farà “Il libro della giungla”
Wilson sta lavorando a un adattamento del Libro della giungla di Kipling. Con musica del duo al femminile di rock e folk alternativo delle Cocorosie, metterà su lo spettacolo in Italia in una coproduzione della Fondazione del teatro della Toscana con Parigi. Raccomanda: in ogni spettacolo bisogna immaginare un bambino in sala. Conosciuto per spettacoli che molti definiscono perfetti e “freddi” (l’aggettivo non varrebbe affatto per Mary said what she said), il regista si commuove nella voce e negli occhi: “Anche se fai Medea che uccide due bambini devi pensare a un bambino tra gli spettatori. Se percepiamo il bambino nell’attore che rappresenta anche un ruolo tragico, può emozionarci molto di più”.
La coproduzione internazionale
Andato in scena per la prima volta al Théâtre de la Ville, Parigi, con il quale la Pergola ha un’intesa di collaborazione su più fronti e che già si dimostra quanto mai proficua, questo monologo sulla tragica figura di Maria Stuarda è coprodotto dalla Wiener Festwochen di Vienna, dal teatro fiorentino, dall’Internationaal Theater di Amsterdam, dal Thalia Theater di Amburgo, in collaborazione con EdM Productions.